Quali sono i miei interessi? E' una domanda che ho paura a pormi. Non riesco a rispondere, per qualche motivo a me oscuro il tutto sembra estremamente indecifrabile. Forse è l'aver passato un'intera vita a rincorrere quel che sarebbero dovute essere le mie passioni; giudicate in base a qualche assurdo standard a qualche aspettativa vittima di una vita non vissuta, della paura della mancata accettazione esterna, della fallita autorealizzazione. In un attimo tutto crolla, il falso non dura in eterno o se così è, lo è esclusivamente perche' non ce ne vogliamo accorgere. Sono passati anni in cui ero convinta di dover dare il massimo in tutto quello che facevo, in ogni minimo dettaglio, l'altra soluzione sarebbe stata rimanere ferma nel mio angolo, senza muovere un dito. Dunque meglio un passo nella direzione sbagliata ma fatto bene piuttosto che un accenno di movimento, uno spasmo, nella direzione percepita come giusta ma avventato e sgangherato. Segui la linea, guardala, un piede dietro l'altro e via, tu lo sai come si fa, lo fai bene. Ma a cosa mi ha portato tutto questo? Certo, varie soddisfazioni, quel che ho fatto l'ho sempre fatto dando il massimo, ho conseguito discreti risultati in ogni campo, ma era davvero quel che volevo? No. Erano scelte sentite? No. L'intera strada si è dispiegata su un viottolo ragionato, pieno di addobbi appositamente scelti per abbellire una stanza altrimenti considerata di un valore scarno e irriconosciuto.
E adesso? Adesso che ho smascherato tutta questa involontaria messa in scena non so piu' da che parte andare, ho paura di sbagliare nuovamente, di decidere piuttosto che di sentire. Ma come si impara a sentire? Come si capisce che una scelta è reale e non imposta? Come faccio a sapere se i miei interessi sono ancora paillettes su vestiti immaginari e agognati oppure reali perle d'immaginazione, uniche componenti di un autentico monile?
Cosa mi risponderei se mi chiedessi qual è la cosa che continuerei a fare senza interpretare come dovere o pesante fardello? Disegnare? Non me lo sarei mai aspettata. Scrivere? Forse, ma scrivere col cuore, non con la mente. Sentire. Questo è quel che vorrei imparare a fare. Imparare a sentire e cogliere quel barlume di luce fioca per smuovere un passo, anche un solo passo, verso una direzione, spinta da me stessa, verso me stessa.
giovedì 6 gennaio 2011
martedì 4 gennaio 2011
Vetta
A volte si segue noi stessi per vie impervie, ci si prende per mano e non ci si accompagna ma, al contrario, ci si strattona su per ripide salite guarnite di una scivolosa fanghiglia ingannevole e beffarda. Si evitano gli scivoloni, si fanno peripezie da saltimbanchi pur di stare al passo di quel riflesso di ombra proiettato di fronte a noi che pare prenderci e tirarci su con sé. Lo vogliamo seguire, sentiamo di doverlo seguire. Così dopo un salto ne segue un altro ed arriviamo goffamente ma allo stesso tempo con uno sprint brillante verso la cima prefissata. Il sole è così forte, ma l’ombra che prima veniva stampata su quella terra così umida e melmosa sembra mano a mano ridursi. Un passo, un altro passo ancora; non si tratta più di saltare, di arrabattarsi, ma di proseguire un cammino ormai divenuto usuale. Così, quando il sole sembra splendere al suo zenit quella figura scura che ti esortava a seguirla sembra adesso sparita sotto i nostri stessi piedi. Siamo soli su una vetta che forse non ci appartiene. Lo sguardo punta la superficie pianeggiante, cerca altre vette ma riesce a vedere solo quelle circostanti per cui occorrerebbe immergersi nuovamente nell’abisso della discesa. Non c’è altro, non c’è niente, solo altra pianura, boschi, spiazzi, macchie arroventate al sole, scoloriti fiori sporgenti da forti arbusti fagocitati da un immobile silenzio di approdo. Questo posto non sembra casa.
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