A volte si segue noi stessi per vie impervie, ci si prende per mano e non ci si accompagna ma, al contrario, ci si strattona su per ripide salite guarnite di una scivolosa fanghiglia ingannevole e beffarda. Si evitano gli scivoloni, si fanno peripezie da saltimbanchi pur di stare al passo di quel riflesso di ombra proiettato di fronte a noi che pare prenderci e tirarci su con sé. Lo vogliamo seguire, sentiamo di doverlo seguire. Così dopo un salto ne segue un altro ed arriviamo goffamente ma allo stesso tempo con uno sprint brillante verso la cima prefissata. Il sole è così forte, ma l’ombra che prima veniva stampata su quella terra così umida e melmosa sembra mano a mano ridursi. Un passo, un altro passo ancora; non si tratta più di saltare, di arrabattarsi, ma di proseguire un cammino ormai divenuto usuale. Così, quando il sole sembra splendere al suo zenit quella figura scura che ti esortava a seguirla sembra adesso sparita sotto i nostri stessi piedi. Siamo soli su una vetta che forse non ci appartiene. Lo sguardo punta la superficie pianeggiante, cerca altre vette ma riesce a vedere solo quelle circostanti per cui occorrerebbe immergersi nuovamente nell’abisso della discesa. Non c’è altro, non c’è niente, solo altra pianura, boschi, spiazzi, macchie arroventate al sole, scoloriti fiori sporgenti da forti arbusti fagocitati da un immobile silenzio di approdo. Questo posto non sembra casa.
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