A chi ci si aggrappa quando si cade? Chi si cerca dopo aver vanamente allungato la mano verso quell’appiglio, verso quella conca di letto adiacente e vuota? Si vaga, ci si esterna, si esce di casa guardando il mondo da spettatori solitari piuttosto che dalle nostre sicure e spesse finestre con vista sul cortile, rigorosamente limitrofo, giacente tra l'inseneatura e la parallela strada comunale. Piano, e con passi indugianti, si esce dal cancello, cercando di sbatterlo piano, senza far rumore: non vorremmo che qualcuno si accorgesse della nostra assenza da quella casa così indistruttibile, dalle mura splendenti e nuove di vernice indorata. Si scivola, come in un torrente e ci si precipita verso il primo sfavillio di vita, qualunque esso sia. Mestamente ci si appropinqua alle sue acque, contorcendoci ci lasciamo andare a fasulle capriole, ingenui volteggi che ci danno per un attimo l’illusione della quiete. Solo un attimo.
venerdì 31 dicembre 2010
lunedì 27 dicembre 2010
Connessioni
Non ce l'ho fatta,sono di nuovo stanca, stanca di tutta questa gente che mi vede attraverso una lente appannata. Pensano che basti una chiave per aprirmi, non comprendono il fatto che possa non essere così. A volte non si capisce che il mondo è diviso tra pesci e pescatori ed ognuno di noi può rivestire entrambi i ruoli. Non è facile pensare che ad ogni amo possa corrispondere un pesce, che un semplice uncino di acciaio possa attirare solo pochissime creature. Eppure è così, non basta una domanda per avere una risposta. Non basta l'essenza per ottenere l'aroma.
giovedì 16 dicembre 2010
Giornate
Trovo una certa somiglianza tra me, te ed il sole... adesso è qui; è così bello, così caldo ed illumina ogni cosa passi sotto a quelle sue braccia protese. Vorrei poter stare ore ed ore a guardarlo, godermi ogni minimo istante di calore, ma so che presto, prima ancora che me ne possa accorgere, si affievolirà; il suo color ambra si trasformerà in un vago arancio sottile ed il cielo, da lui riempito ed ora così terso, divrrà di un celeste intenso, striature purpuree a segnare il saluto notturno, ormai troppo precoce, di questo sole in letargo. Rimani ancora, ti prego, resta, ma so che quando rialzerò la testa tutto questo non ci sarà più e queste ore saranno parse un baleno, perche' tu non ci sarai.
martedì 14 dicembre 2010
Ho imparato a vedere
Percorrerò tutte le strade, cercherò gli occhi di chi sta cercando. Ho un paio di occhi nuovi che non avrei mai creduto di poter avere. Grazie a te. Grazie a te ho conosciuto l'amore e me ne sono innamorata. Non è importante se non potrò più trovarlo in te nel modo in cui vorrei, non mi dispererò se andrai lontano. Conosco il valore di quel che ho riscoperto, mi hai fatto il dono più grande per cui la durata del tempo non conta...
Felicità
Londra, la montagna, il natale, le amicizie ritrovate, un ricordo un po' malinconico, uno sforzo dovuto, guardarsi allo specchio, una speranza, un pensiero. Oggi hanno fatto di me una persona felice, chissà per quanto ancora.
venerdì 10 dicembre 2010
Luci
Ed osservo il velo ambrato gettato sulle pareti di questa parte di mondo.Un gioco di luci, calore filtrato da un'atmosfera permeabile, spettacolo usuale ed indescrivibile per l'uomo. Difficile fermarsi a guardare, difficile capire, ed alla fine ricordi che è solo un complesso di variabili, una conseguenza della materia, di ogni piccola aggregazione libera di seguire il proprio schema, la propria strada. E noi, insignificanti scrutatori, guardiamo con la stessa meraviglia di un monaco dinanzi all'altare, ma con l'innocua illusione di comprendere una regola astrale a cui porre soluzione terrena.
lunedì 6 dicembre 2010
A te
Non so come iniziare, non so dove trarre ispirazione per una cosa così profonda come quella che vorrei scrivere, ma sento di doverla dire, di dovermi impegnare per fare uscire quelle parole che vorrei dirti, che non avresti compreso, che adesso forse, chissà, puoi percepire.
Mi dispiace non esserti stata vicina nell'ultimo periodo, diciamo pure negli ultimi anni. Non scriverò poesie, non cercherò di allontanarmi da te con un linguaggio incompreso, voglio essere chiara, tu che adesso puoi capirmi.
In realtà non ho idea di quello che scriverò, non riesco a trovare le parole, scusami. Ultimamente sto logorando questa parola, ultimamente mi sono dovuta far scusare da tanti, anche da te. Chissà come sarebbero andate le cose se avessi continuato ad esserci, probabilmente allo stesso modo, la mia presenza non avrebbe cambiato il corso della natura.
E' vero, mi sono allontanata, ho preso il volo, mi sono alzata sulle mie gambe, quelle stesse gambe che tanti tanti anni fa si facevano trascinare da te su quel tappeto-guida dove a malapena mi reggevo mentre tu ti spostavi in giro per la casa preoccupandoti di eventuali spilli lasciati per terra. Mi sono alzata e mi sono allontanata, ma non ho smesso di pensarti, sapevo che c'eri, ho solo costruito la mia vita, una vita lontana da te, lontana da vecchie consuetudini. Ma ricordo tutto, nella mia mente non ho dimenticato un singolo dettaglio, è tutto impresso e forse questo mi è bastato, questo ha rimpiazzato l'uomo che non potevi più essere per colpa di una natura meschina, come quella umana. Ricordo alla perfezione l'odore nel pane vicino ai cassetti davanti ai quali mi inginocchiavo per prendere il mazzo di carte che ci riempiva le domeniche pomeriggio. Ricordo tutti i giochi, anche quelli più assurdi, ricordo di aver imparato tanto, ricordo la tua faccia, ora più che mai la ricordo con chiarezza, ci divertivamo. Alla fine mi dicevi in quel tuo dialetto un po' troppo toscano che eri stanco e allora ti sedevi. Ricordo la sedia, di plastica bianca, così sforzata da aver bisogno di essere legata zampa a zampa da un laccio verde, per evitare che cedesse. Ricordo i quadri della tua casa, la stanza dove mi nascondevo, il libro di pinocchio che trovavo nascosto nella cassettiera di quella camera ormai inutilizzata. Ricordo i tuoi libri, il tuo vocabolario antico che ancora custodisco, i tuoi soprammobili, le mie foto sul tuo mobile della cucina, il ripostiglio, il garage, sempre così misterioso. Ricordo, forse meno, anche le passeggiate vicino casa tua. Poco tempo fa passando dalla tua stazione e vedendo il tuo palazzo mi è successo di ricordarmi delle nostre prime passeggiate: mi portasti alla stazione. C'era un pergolato, un box e poi i binari. Quelle giornate mi sono rimaste così impresse. Ricordo le mie mani nella "sabbia bianca" che a dire il vero ancora non so cosa sia, per me era solo sabbia fine. Ricordo i giochi, quando costruivi sogni dal niente, solo con le tue mani e poi me li porgevi ed io ero felice, andando a casa con quel piccolo paniere immaginario contenente tanti oggetti fantasiosi, a mio piacimento; è questo il bello dell'immaginazione. Sono tante, tantissime, le cose che ricordo, forse non è giusto riversarle su un foglio. Ti volevo bene per quello che hai fatto, non hai mai sbagliato una singola mossa, nemmeno una, spero di averti reso felice e so che è così.
Poi il cambiamento, inesorabile e lento. Continuavi a chiedermi le stesse cose, ripetermi le stesse frasi. Se ero sposata, se andavo a scuola. Non voglio pensarci. Ricordo di averti avuto a casa mia; stessa storia. Non possiamo farci niente, mi sono sentita impotente, speravo che in fondo ricordassi anche tu, lo speravo davvero, ma vedevo che non era così, ma sono felice di rimanere unica custode della tua memoria. L'ultima volta che ti ho visto eri a casa tua, sul divano, non mi riconoscevi, mio padre ti mostrava le mie foto e tu non ci credevi, o forse sì, non sono riuscita a capirlo. Così me ne sono andata con il dolore nel cuore, ma quel dolore, così forte, si nutriva dell'amore provato. Tanto è più grande l'amore, tanto il dolore che di esso si nutrirà, senza sostituirlo. Il dolore è consapevolezza di aver perso, quindi di aver avuto e io non posso che essere felice di averti avuto.
Mi dispiace non esserti stata vicina nell'ultimo periodo, diciamo pure negli ultimi anni. Non scriverò poesie, non cercherò di allontanarmi da te con un linguaggio incompreso, voglio essere chiara, tu che adesso puoi capirmi.
In realtà non ho idea di quello che scriverò, non riesco a trovare le parole, scusami. Ultimamente sto logorando questa parola, ultimamente mi sono dovuta far scusare da tanti, anche da te. Chissà come sarebbero andate le cose se avessi continuato ad esserci, probabilmente allo stesso modo, la mia presenza non avrebbe cambiato il corso della natura.
E' vero, mi sono allontanata, ho preso il volo, mi sono alzata sulle mie gambe, quelle stesse gambe che tanti tanti anni fa si facevano trascinare da te su quel tappeto-guida dove a malapena mi reggevo mentre tu ti spostavi in giro per la casa preoccupandoti di eventuali spilli lasciati per terra. Mi sono alzata e mi sono allontanata, ma non ho smesso di pensarti, sapevo che c'eri, ho solo costruito la mia vita, una vita lontana da te, lontana da vecchie consuetudini. Ma ricordo tutto, nella mia mente non ho dimenticato un singolo dettaglio, è tutto impresso e forse questo mi è bastato, questo ha rimpiazzato l'uomo che non potevi più essere per colpa di una natura meschina, come quella umana. Ricordo alla perfezione l'odore nel pane vicino ai cassetti davanti ai quali mi inginocchiavo per prendere il mazzo di carte che ci riempiva le domeniche pomeriggio. Ricordo tutti i giochi, anche quelli più assurdi, ricordo di aver imparato tanto, ricordo la tua faccia, ora più che mai la ricordo con chiarezza, ci divertivamo. Alla fine mi dicevi in quel tuo dialetto un po' troppo toscano che eri stanco e allora ti sedevi. Ricordo la sedia, di plastica bianca, così sforzata da aver bisogno di essere legata zampa a zampa da un laccio verde, per evitare che cedesse. Ricordo i quadri della tua casa, la stanza dove mi nascondevo, il libro di pinocchio che trovavo nascosto nella cassettiera di quella camera ormai inutilizzata. Ricordo i tuoi libri, il tuo vocabolario antico che ancora custodisco, i tuoi soprammobili, le mie foto sul tuo mobile della cucina, il ripostiglio, il garage, sempre così misterioso. Ricordo, forse meno, anche le passeggiate vicino casa tua. Poco tempo fa passando dalla tua stazione e vedendo il tuo palazzo mi è successo di ricordarmi delle nostre prime passeggiate: mi portasti alla stazione. C'era un pergolato, un box e poi i binari. Quelle giornate mi sono rimaste così impresse. Ricordo le mie mani nella "sabbia bianca" che a dire il vero ancora non so cosa sia, per me era solo sabbia fine. Ricordo i giochi, quando costruivi sogni dal niente, solo con le tue mani e poi me li porgevi ed io ero felice, andando a casa con quel piccolo paniere immaginario contenente tanti oggetti fantasiosi, a mio piacimento; è questo il bello dell'immaginazione. Sono tante, tantissime, le cose che ricordo, forse non è giusto riversarle su un foglio. Ti volevo bene per quello che hai fatto, non hai mai sbagliato una singola mossa, nemmeno una, spero di averti reso felice e so che è così.
Poi il cambiamento, inesorabile e lento. Continuavi a chiedermi le stesse cose, ripetermi le stesse frasi. Se ero sposata, se andavo a scuola. Non voglio pensarci. Ricordo di averti avuto a casa mia; stessa storia. Non possiamo farci niente, mi sono sentita impotente, speravo che in fondo ricordassi anche tu, lo speravo davvero, ma vedevo che non era così, ma sono felice di rimanere unica custode della tua memoria. L'ultima volta che ti ho visto eri a casa tua, sul divano, non mi riconoscevi, mio padre ti mostrava le mie foto e tu non ci credevi, o forse sì, non sono riuscita a capirlo. Così me ne sono andata con il dolore nel cuore, ma quel dolore, così forte, si nutriva dell'amore provato. Tanto è più grande l'amore, tanto il dolore che di esso si nutrirà, senza sostituirlo. Il dolore è consapevolezza di aver perso, quindi di aver avuto e io non posso che essere felice di averti avuto.
domenica 5 dicembre 2010
Ho sognato te, te che non sai di me.
stanotte ti ho sognato, eravamo noi, ero venuta a casa tua solo con un paio di calzini rossi indosso, mi sembrava tutto così irreale... ti avevo mandato un messaggio, ti avvertivo della mia presenza, ma non del mio arrivo, ad ogni modo sapevi già tutto quello che dovevo dirti. Procedevo nei sobborghi di Firenze, stando forse poco attenta a dove potessi mettere i piedi su quelle mattonelle color corallo, invecchiate dallo smog, logorate e abusate dai passi della gente. Un blocco di edifici vicino, casa tua. L'edificio chiaro alla luce del sole ed eminente si avvicina, o sono io ad avvicinarmi a lui. Un attimo dopo ti suono il campanello. Tu non mi conosci, ma forse sai chi sono. Non so cosa volessi dirti, ad occhi aperti suppongo che il messaggio vertesse sulla felicità per quel che ti è accaduto, ma non lo so, non credo. Adesso, proprio mentre parlo di te, hai nuovamente comunicato il tuo nuovo stato d'animo, la tua nuova vita, così profonda, così completa che forse necessita solo di un pizzico di fermezza. Non sai che ti penso, non sai che sono felice per te, non sai quanto condivida quel che provi e non so se dovresti mai saperlo.
Il campanello suona... mi apri, io non dico niente, tu mi accogli. Divento parte della tua casa, ti aiuto ad aggiustare quel bagno un po' rotto, così improvvisamente, al mio arrivo, come spesso succede nelle case, quando di tanto in tanto un meccanismo si imbizzarrisce e scombina l'armoniosa funzionalità del complesso di vite che nei suoi dintorni orbita. Tanta acqua, acqua da sotto la porta, acqua vista alla luce fioca del tuo appartamento, acqua sulle mattonelle color rosso castagno. Poi ci spostiamo in salotto, il mio salotto, ma arredato della tua vita, dei tuoi mobili, delle tue cose. Ti chiedo finalmente se sai perche' sono lì, tu mi abbracci e non ricordo cosa dici, ma non era un "no", ma forse nemmeno la realtà dei fatti, forse una forte presunzione talmente tenace da sembrare effettiva. Mi piace, non dico niente. Da lì il ricordo sfuma, ricordo solo che siamo usciti a fare spesa, forse non ti ho comunicato tutto, ma ci sono stata, sono stata lì con te dandoti il messaggio più forte di tutti: in tutto questo tempo ti ero vicina. Andiamo poi a fare spesa, una spesa frettolosa, mi ero giusto scordata di una cosa essenziale. La prendo, torno fuori. camminiamo, sempre con i miei calzini rossi e lanuginosi. Sono felice. Tu te ne vai, forse a lavoro, forse chissà. Sento di aver fatto passare il mio messaggio, sento che hai capito. Continuo a camminare. Controllo il mio calzino: ho pestato una chewingum beige, non so perche' i miei sogni debbano finire con questi frivoli ed inutili segnali privi di significato o di un significato non apparente. Tutto finisce, così, con la delusione dei dettagli, come a dire: "ti sei tolta le scarpe, non poteva andare tutto bene", ma so che in fondo era solo una chewingum...
Il campanello suona... mi apri, io non dico niente, tu mi accogli. Divento parte della tua casa, ti aiuto ad aggiustare quel bagno un po' rotto, così improvvisamente, al mio arrivo, come spesso succede nelle case, quando di tanto in tanto un meccanismo si imbizzarrisce e scombina l'armoniosa funzionalità del complesso di vite che nei suoi dintorni orbita. Tanta acqua, acqua da sotto la porta, acqua vista alla luce fioca del tuo appartamento, acqua sulle mattonelle color rosso castagno. Poi ci spostiamo in salotto, il mio salotto, ma arredato della tua vita, dei tuoi mobili, delle tue cose. Ti chiedo finalmente se sai perche' sono lì, tu mi abbracci e non ricordo cosa dici, ma non era un "no", ma forse nemmeno la realtà dei fatti, forse una forte presunzione talmente tenace da sembrare effettiva. Mi piace, non dico niente. Da lì il ricordo sfuma, ricordo solo che siamo usciti a fare spesa, forse non ti ho comunicato tutto, ma ci sono stata, sono stata lì con te dandoti il messaggio più forte di tutti: in tutto questo tempo ti ero vicina. Andiamo poi a fare spesa, una spesa frettolosa, mi ero giusto scordata di una cosa essenziale. La prendo, torno fuori. camminiamo, sempre con i miei calzini rossi e lanuginosi. Sono felice. Tu te ne vai, forse a lavoro, forse chissà. Sento di aver fatto passare il mio messaggio, sento che hai capito. Continuo a camminare. Controllo il mio calzino: ho pestato una chewingum beige, non so perche' i miei sogni debbano finire con questi frivoli ed inutili segnali privi di significato o di un significato non apparente. Tutto finisce, così, con la delusione dei dettagli, come a dire: "ti sei tolta le scarpe, non poteva andare tutto bene", ma so che in fondo era solo una chewingum...
mercoledì 1 dicembre 2010
Immobile
Non posso, no, non stavolta, stavolta conosco esattamente la mia direzione, quell'unica strada che mi porterà a casa, quell'unica strada che voglio percorrere e la voglio percorrere con te. Non mi fermerò a chiedere informazioni, non mi farò indicare vie più brevi, non mi soffermerò a parlare con sconosciuti sperando di vedere nuovi viottoli. Per quanto ripida, sconnessa, sterrata, polverosa e tortuosa, conosco la mia strada ed è l'unica che posso fare, fino alla fine. Non mi importa della terra sottile e aurea sui miei panni, del fango sul mio volto, della rena sotto le mie unghie o del pulviscolo nei miei capelli. Mi sono rialzata, per te, nonostante tutto questo, nonostante l'impossibilità di vedere chiaramente quell'orizzonte così vicino ed allo stesso tempo così indefinibile ed indecifrabile. Non voglio accettare di dover tornare sui miei passi, vorrei per una volta mettere da parte la mia paura dell'ignoto, la mia paura di soffrire ed iniziare a correre verso di te, pur rischiando di scontrarmi contro un grosso masso che blocca ogni via di fuga. Da una strada come questa, non si torna indietro e chi pensa di poterlo fare è un illuso.
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