domenica 5 dicembre 2010

Ho sognato te, te che non sai di me.

stanotte ti ho sognato, eravamo noi, ero venuta a casa tua solo con un paio di calzini rossi indosso, mi sembrava tutto così irreale... ti avevo mandato un messaggio, ti avvertivo della mia presenza, ma non del mio arrivo, ad ogni modo sapevi già tutto quello che dovevo dirti. Procedevo nei sobborghi di Firenze, stando forse poco attenta a dove potessi mettere i piedi su quelle mattonelle color corallo, invecchiate dallo smog, logorate e abusate dai passi della gente. Un blocco di edifici vicino, casa tua. L'edificio chiaro alla luce del sole ed eminente si avvicina, o sono io ad avvicinarmi a lui. Un attimo dopo ti suono il campanello. Tu non mi conosci, ma forse sai chi sono. Non so cosa volessi dirti, ad occhi aperti suppongo che il messaggio vertesse sulla felicità per quel che ti è accaduto, ma non lo so, non credo. Adesso, proprio mentre parlo di te, hai nuovamente comunicato il tuo nuovo stato d'animo, la tua nuova vita, così profonda, così completa che forse necessita solo di un pizzico di fermezza. Non sai che ti penso, non sai che sono felice per te, non sai quanto condivida quel che provi e non so se dovresti mai saperlo.
Il campanello suona... mi apri, io non dico niente, tu mi accogli. Divento parte della tua casa, ti aiuto ad aggiustare quel bagno un po' rotto, così improvvisamente, al mio arrivo, come spesso succede nelle case, quando di tanto in tanto un meccanismo si imbizzarrisce e scombina l'armoniosa funzionalità del complesso di vite che nei suoi dintorni orbita. Tanta acqua, acqua da sotto la porta, acqua vista alla luce fioca del tuo appartamento, acqua sulle mattonelle color rosso castagno. Poi ci spostiamo in salotto, il mio salotto, ma arredato della tua vita, dei tuoi mobili, delle tue cose. Ti chiedo finalmente se sai perche' sono lì, tu mi abbracci e non ricordo cosa dici, ma non era un "no", ma forse nemmeno la realtà dei fatti, forse una forte presunzione talmente tenace da sembrare effettiva. Mi piace, non dico niente. Da lì il ricordo sfuma, ricordo solo che siamo usciti a fare spesa, forse non ti ho comunicato tutto, ma ci sono stata, sono stata lì con te dandoti il messaggio più forte di tutti: in tutto questo tempo ti ero vicina. Andiamo poi a fare spesa, una spesa frettolosa, mi ero giusto scordata di una cosa essenziale. La prendo, torno fuori. camminiamo, sempre con i miei calzini rossi e lanuginosi. Sono felice. Tu te ne vai, forse a lavoro, forse chissà. Sento di aver fatto passare il mio messaggio, sento che hai capito. Continuo a camminare. Controllo il mio calzino: ho pestato una chewingum beige, non so perche' i miei sogni debbano finire con questi frivoli ed inutili segnali privi di significato o di un significato non apparente. Tutto finisce, così, con la delusione dei dettagli, come a dire: "ti sei tolta le scarpe, non poteva andare tutto bene", ma so che in fondo era solo una chewingum...

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