lunedì 29 novembre 2010

Dialogo surreale, la certezza è che non vi sono certezze

<<Cosa vorresti fare tu?>>
<<tentare di rimediare ai miei errori, cambiare per una ragione in cui credo>>
E il saggio rise alle mie parole.
<<Ridi?>> Chiesi allora con aria meravigliata e spazientita
<<Non rido per la tua volontà di cambiare le cose, rido perché vorresti cambiare te stessa>>
Un barlume di lucidità pervenne alla mia mente, era davvero possibile decidere di cambiare?
<<Non credi sia possibile? Il motivo è valido...>> cercai di rispondere aggrappandomi a quella mia vana ed eterea speranza.
<<Credo sia possibile cambiare il corso degli eventi, non credo sia altrettanto possibile cambiare noi stessi>> Rispose il saggio tenendo relegata in quella barba bianca gran parte dell'essenza di quella vacua risposta.
<<Dimmi qualcosa, dammi una speranza, non mi lasciare così disillusa!>> Urlai spazientita con un ignobile sentimento di impotenza che mi pervadeva il corpo fino a farmi tremare i polsi.
<<Perché hai bisogno di conferme? Smetteresti forse di lottare se ti dicessi che la tua è un'impresa destinata a fallire?>> Domandò quasi sbeffeggiando quel mio ideale, quella mia pista di decollo che mi ero costruita.
<<Non lo so...>> Non so come quelle parole mi uscirono dalle labbra, avessi avuto qualche attimo in più avrei detto "certo che no, non smetterei mai di lottare per qualcosa in cui credo" eppure il mio istinto aveva portato a galla un'altra verità.
<<La tua necessità di conferme è allo stesso tempo acceleratore e freno dei tuoi desideri>>
Ci misi un po' a capire cosa volesse dire, ma il vecchio aveva ragione: sin da piccola non ero riuscita a conseguire niente che non dipendesse interamente da me. Così ero sempre stata brava a scuola e pessima nella vita, non avevo costruito un rapporto con i miei genitori, non avevo amicizie solide e stabili ed allo stesso tempo non riuscivo a credere fermamente nelle mie abilità.
Il saggio interpretò il mio silenzio e mi volle dare una parola di conforto.

<<Ogni volta che spiccherai il volo non saprai mai se sarai destinato a cadere o a rimanere in alto, non saprai se cadendo scoprirai nuove opportunità o se, una volta in alto, sarai tu a voler scendere. Non si conosce mai il nostro posto nel mondo e la voglia certezza è ciò che maggiormente ci separa dalla capacità di scoprirlo>>

<<Cosa dovrei fare allora? Dimmi qualcosa>> Sbuffai di nuovo quasi in cerca di una chiave a quel puzzle così troppo complicato per essere risolto.
Non ebbi mai una risposta. Il vero saggio sà di non poter dare risposte, ma di poter porre solo domande.
Forse la risposta è che non ci sono risposte, se già riuscissi a capire un decimo del significato di questa frase smetterei di cercare un senso, una sicurezza, un appiglio stabile che faccia da supporto ad ogni singola azione della mia vita. Forse riuscirei a capire che per arrivare in alto non è possibile stare ancorati a terra, che i sentieri di montagna non sempre hanno parapetti rassicuranti, che il mare è bello ma non sempre è possibile aggrapparsi al dorso dell'onda. A volte qualcuno è disposto a gettarci una fune, una ciambella di salvataggio, altre volte è il nostro compagno ad aver bisogno di essere trascinato, preso per mano e condotto alla meta. Per questo dobbiamo essere coraggiosi, non nel fare ma nell'essere, occorre una forza d'animo ben superiore a quella corporea, occorre una convinzione interiore e profonda. Occorre mostrarsi sicuri, avere sicurezze talmente grandi da poter bastare non solo a noi stessi e una volta raccolte occorre spingere ancora più vigorosamente in quella direzione tanto ambita. Il come, putroppo, è sempre un mistero.

Riflessione

Un uomo quando perde l'amore non è più niente. Non sono però sicura se si possa dire la stessa cosa per la donna.

Non tutto è perduto

Certo non mi aspettavo un ritorno trionfale con tanto di genuflessione e proposta di matrimonio. Sapevo che bene o male mi sarei scontrata con le mie azioni, con quello che ho creato.
Ho creato un muro, un muro difficile da abbattere. Non c'è cosa peggiore di sapere di essere l'artefice della chiusura dell'altrui mondo.
Per molto tempo ho ricevuto senza essere stata in grado di dare, forse avevo paura di buttarmi fino in fondo, di vedere la sua immensa bellezza nascosta nelle piccole cose, nei tratti del suo viso, nelle sue mani lisce, nel suo corpo... ieri per la prima volta le ho viste davvero tutte queste cose, non che prima non le conoscessi, ma tutto cambia quando alteri il modo in cui ti poni verso l'esterno. Tanti aspetti ti appaiono diversi, surreali, come se in un televisore iniziassi a premere il tasto "contrasto" senza mai lasciarlo andare: i colori si accendono, risplendono, sfavillano, enfatizzando il quadro avvolto ora da una nuova luce che tutto mostra e niente nasconde.
Così sta l'innamorato nel suo contemplare.

"Adesso è tardi, forse troppo tardi, non so se ce la farò" Così mi ha risposto ed io non posso che assumermi tutte le mie colpe, dalla prima all'ultima. La colpa di non aver capito quanto era importante, la colpa di aver dato per scontata la sua presenza, la colpa di esser stata me stessa, una "me stessa" che non riusciva a cambiare, che non voleva soffrire...
"Mi dispiace che tu sia dovuta arrivare con l'acqua alla gola per capirlo, è come la scossa di coscienza prima di morire" Quanto mi hanno fatto male quelle parole, avrei voluto prenderlo per mano ed urlargli "Non è troppo tardi! Aspetta, possiamo riprovarci" Ma so meglio di altri che quando è troppo tardi, semplicemente è troppo tardi. Sono la prima ad ammettere che un'incrinazione in un vetro è difficile da riparare, spesso non si torna quelli di prima e lui mi ha detto chiaramente di non volerlo fare.
"Non posso riaprirmi, tornerei a chiederti cose che non puoi darmi" Non c'è condanna peggiore del non saper dare quello che vorremmo più di ogni altra cosa riporre nelle mani dell'altro: la felicità. So di non essere abbastanza, so che in gran parte è stata la speranza a portarlo fin qui, so che se fossi stata un'altra la nostra storia non sarebbe mai iniziata. Ed io in tutto questo mi trovo custode di un enorme privilegio ma allo stesso tempo di un'atroce condanna che vive dentro di me.
Cosa sono io? Cosa non sono io? Posso davvero dare tanto? E se lo facessi sarei davvero me stessa?
A volte quando lo faccio mi sento strana, ma non so se sia più perché nel facendolo riesco tuttora a limitarmi o perché davvero il farlo non corrisponda a me stessa, alla mia personalità. Ma una persona può vivere senza riversare tutta la sua anima al di fuori? Ancora una volta sono le paure a bloccarmi.
"Niente mi allontanerà da te, se non le tue paure" Questo mi diceva mesi e mesi fa quando la nostra storia risplendeva, fioriva e gioivamo insieme di questa nuova scoperta. Quanto aveva ragione... quante volte la paura di una fine non ti permette di impegnarti al massimo nel viaggio. Sono queste le persone che non si godono la vita, sono queste le persone che non riescono mai a trovare un senso, perché ricercato nella fine, sempre incognita, e mai nel processo. Non si dovrebbe mai perdere di vista l'obiettivo, ma se troppo vago, dubbio o lontano conviene navigare a vista, cercando di spostarsi quanto più possibile tra le onde verso quella meta sconosciuta, sapendo di poter naufragare, ma anche di poter arrivare in porto.
Spesso si naufraga, spesso succede ed a quel punto il naufrago rimane solo su un'isola deserta, nel mezzo al suo oceano di vita non vissuta, di errori, di passioni non esplose, di parole non dette e di sentimenti mai dimostrati. Può darsi che questo naufrago decida di partire e di raggiungere a bracciate la sua nave, spesso già partita. Così io sono un naufrago, mi arruffo tra le onde, stavolta mi lascio cullare, le accetto e le accolgo come complici sperando di poter raggiungere quella nave, così bella, così raggiante e nitida in quell'orizzonte fumoso ed obnubilato. Lui mi saluta, mi grida "forse posso riavvicinarmi, è difficile, ma forse non è troppo tardi, forse ce la posso fare". Forse, forse, forse... scagliati come tuoni nella notte scatenano una tempesta che ad allo stesso tempo mi limita e mi incinta ad andare avanti verso la mia meta, senza bussola, navigando a vista.
Ci sono cose per le quali vale la pena lottare, mettere sul banco degli imputati tutti noi stessi, dichiararsi colpevoli, scontare la pena ed andare avanti mettendo in gioco ogni singola essenza del nostro essere.
"Quel che ti dico è che non mi basta un piccolo passo, ti chiedo di non fermarti perché adesso non mi può bastare" Questa è la sua richiesta per poter gettare un'ancora e io sono spaventata a morte di fronte a queste parole, spaventata perché non so cosa voglia dire "cambiare" o "fare grandi passi", forse corrisponde a gettare via le mie paure, il mio egoismo fine a sé stesso. Ho paura di non capire, ho paura di non riuscire, ho paura di non saper essere per te quel che vorresti che io fossi. Rinunciare a sé stessi è sempre una scelta difficile, con te lontano, laggiù, su una barca che potrebbe prendere il largo è ancora più difficile. Come me lo hai promesso tu, anche io ti prometto da questo mare in burrasca che farò ogni singolo sforzo, darò fino all'ultima bracciata pur di raggiungerti. Spero di non deludere me stessa, ma soprattutto, spero di non deludere Te...

domenica 28 novembre 2010

Eccoci

Eccoci, stasera avrò l'opportunità di parlare senza filtri. Avrò l'opportunità di aprire me stessa, ma so che andrò a sbattere contro un muro, un muro che ho creato anche io. So che le mie parole non faranno effetto, so che non riuscirò ad aggiustare la situazione, forse lo perderò per sempre.. ma farò di tutto per aggrapparmi a quel misero tentativo. "aggrappati all'ultima azione che ancora puoi fare, non puoi fallire la morte..."

Bivio

E' il momento di una svolta, è il momento di dire basta. A volte ci si trova dinanzi ad un bivio, a quel punto l'importante è sentire: sapersi ascoltare. Sarò un'illusa, ma credo che siano i sentimenti a scuotere la terra, a darci degli impulsi per andare avanti. Così è giusto che tu ti trovi di fronte a quell'incrocio e che tu scelga senza indugiare, nel bene o nel male. Non posso più stare ad aspettare, non posso far prevalere un palliativo, so che nel caso dovrò chiuderti in un cassetto ed andare avanti, l'attesa fa male ma a volte si continua a sperare che duri per poter migliorare le cose, la verità è che le cose spesso con l'attesa peggiorano; il "voler fare" è il peggiore dei mali...

venerdì 26 novembre 2010

Vivere senza pensare: vecchie mura da abbattere per rendersi liberi

Sono stanca, esausta, estenuata. Voglio iniziare a parlarti, parlarti davvero. Non posso più permettermi di viverti a metà, non posso vivere questa storia con il blocco dello scrittore. La nostra storia non è un libro, nessun libro potrebbe raccontare mai una cosa così bella, non sono degna di raccontarla, nemmeno la miglior penna riuscirebbe a rendere a pieno la sensazione di quel che stiamo vivendo, di quel che abbiamo vissuto e di quel che forse vivremo. Vorrei riuscire a parlarti, perché adesso mi sembra così difficile? E' da un po' di tempo a questa parte che non sono più in grado di pensare, quando ti vedo i miei pensieri si confondono. Solo le sensazioni rimangono, sensazioni contrastanti, non facili da capire. Così i pensieri si eclissano e nella mia mente compare un vuoto colmo di un significato che non so decifrare. Vorrei donarti tutta me stessa, in ogni momento, vorrei non dover scegliere me stessa, vorrei non dovermi allontanare, eppure questa sofferenza è una catena legata al collo, solo il cedere al mio egoismo mi salva.
Vorrei che attraverso le mie parole tu fossi in grado di vedere la mia anima, senza incomprensioni, senza false interpretazioni, solo la pura essenza...
Vorrei lasciarmi travolgere ed aprirti tutta me stessa.
Eppure ancora non ci riesco. Sembra così facile al pensiero, ma quando ti sono di fronte tutto svanisce: l'oblio nella mia mente. E allora metto in croce due parole forzate, vere, ma pur sempre imposte. Non riesco a giungere ad una conclusione, le mie parole vuote di senso echeggiano e tu giustamente non capisci.
Non bisogna volerlo, ma sentirlo. Penso piuttosto di avere un "blocco", lo stesso blocco che ho nei confronti della scrittura, prima così feconda, adesso così arida e filtrata. Il mio cedere alle emozioni ha forse generato un muro tra me ed il mondo? Lo stesso muro che credevo di aver distrutto?
L'unica cosa di cui sono certa in questo momento è che vorrei più di ogni altra cosa avere le risposte ai miei "perché", così innaturali, così dolorosi.
Vorrei infine poter essere libera, libera come un animale selvatico che dopo una lunga cattività non ha paura di tornare nella natura e non si volta a rimirare la propria gabbia, ma ho ancora bisogno di abbattere le mie mura, chissà se tu riuscirai ad aspettarmi...

Un bisogno innato

Soli. Soli non si può stare, se ne può aver bisogno, ma nessuno lo vuole. Oggi sono rimasta colpita dalle parole di un mio collega. Non l'ho mai visto come un romantico o un sentimentale, ha sempre tenuto le distanze da queste "leggerezze". Eppure alla domanda che gli è stata posta ha risposto in modo chiaro: "sento che mi manca qualcosa". Allora mi sono messa a pensare. Se è vero che a tutti manca qualcosa perché poi diventiamo così egoisti e maldestri quando la otteniamo? Perche' quando abbiamo la potenzialità di poterci aggrappare anche fosse solo ad un piccolo ramo dell'albero della felicità, diventiamo così incapaci di mantenere la presa? Alcuni direbbero "per paura". Io non credo, non credo sia tutto...

mercoledì 24 novembre 2010

Dall'Arno al mare, il segreto del "non volere" per poter ondeggiare...

Oggi ho fatto una passeggiata. Mi sono presa del tempo e parlato con me stessa, mi sono connessa ai miei più intimi pensieri, il che potrebbe sembrare melanconico, ma non lo è. Camminando in riva a quel fiume oggetto di tanta poesia, ho ripercorso i miei ricordi d'infanzia, ancora una volta. Non era un camminare disinteressato: avevo una meta. Il contenitore dei miei primi anni, la mia vecchia casa, forse presto nuova.
Per la prima volta non voglio fare le cose di fretta, quella casa è realmente importante per me ed adesso mi appare vuota, senza senso, spoglia. Se mi andassi ad unire a lei in questo momento non saremmo che due anime sole senza un perché, probabilmente ci faremmo compagnia, ma non costruiremmo niente insieme. Vivere non è sopportare, vivere è agire, influire, non limitarsi ad accettare le cose come sono. Vivere è credere di poter cambiare il corso degli eventi, è il vedere un futuro da noi scelto e non subìto. Così, quando mi riunirò a lei sarà da persona in grado di cavarsela, forse ci vedremo nel momento del bisogno, nel momento in cui le trame della vita hanno bisogno di essere strigliate e rimesse in ordine, ma non ci fonderemo insieme fino a che non sarò pronta. Voglio essere in grado di sfruttare al meglio tutto ciò che ha da offrirmi, così voglio che essa abbia il meglio e solo il meglio da me. Non renderemo questa nostra convivenza una bettola diroccata. Così, casa mia, dovrai attendermi.
Ad ogni modo, oggi ho camminato, che per me corrisponde a dire "ho pensato". Ho pensato lontana da ogni influsso esterno, da ogni distrazione interna, ho pensato libera nella natura, nel fango, tra gli aghi di pino, tra le radici che fanno capolino dal terreno più asciutto e tra l'erba folta raramente oggetto d'attenzione della penuria di passanti. Ho indossato un lettore mp3, uno di quegli oggetti tecnologici che così male si confanno alla mia personalità. Non mi piacciono le cuffie, mi sembra di estraniarmi dall'ambiente, spesso così bello. In più mi lascia intuire un che di maleducato. Non vivo in una grande città, è probabile che passando qualcuni ti fermi, anche qualcuno che non conosci, qualche vecchio signore che si domanda che fine abbia fatto il tuo cane o che ti racconta la triste fine del suo, compagno di vita. I vecchi sono così, a volte hanno bisogno di fermarsi a parlare, di carpire qualche scintilla di vita dall'esterno o di condividere la propria esperienza, fosse solo per un cane. Così ogni volta che passo vicino a qualche signore mi tolgo una cuffia o, facendo finta di aggiustarmi la sciarpa, silenzio la musica per qualche istante, giusto per assicurarmi che quei potenziali intrattenitori non si prestino a rivolgermi parola o un cenno di saluto. Pensavo, pensavo... pensavo che non mi sentivo sola, pensavo che non si è soli a volte, nelle mie orecchie echeggiava Gaber, che questo maledetto oggetto tecnologico si ostina a chiamare Ga-bèr. Era come se ci stessimo parlando, se mi stesse tenendo compagnia, chissà, non è proprio questo uno dei ruoli della musica? Gaber mi piace, spesso parla, spesso dialoga. Così oggi mi diceva che un po' di solitudine è necessaria per star bene in compagnia, io mi fido, perché lo stimo. Mi parlava anche delle relazioni, solo il 2% dei matrimoni è effettivamente felice, mi parlava poi del fare l'amore il sabato, tanto il giorno dopo è festa... sensazioni ormai familiari che non vorrei mai abbandonare. Ho il terrore di non poter più condividere la mia vita nel modo in cui sto facendo, ho paura di tornare a non voler cedere me stessa, a non accettare l'altro. Ho paura di richiudermi in me stessa, più di quanto non lo sia adesso. Lasciate che questo spiraglio diventi una porta aperta, non chiudete la porta... così spero che lui non la chiuda per me. Forse l'errore nella mia vita è il volere, voler raggiungere, voler essere, voler fare. Voglio, voglio, voglio. E' tutto un voglio e quando mi chiedo perche' non ci riesca la risposta non sa giungere, non sa trovare via d'uscita da questo corpo. Eppure è dentro di me, lo sento. Forse dovremmo vivere realmente "navigando a vista", senza volere a tutti i costi, in balia delle onde. Lo sappiamo bene, non è il mare a decidere di ondeggiare, sono le correnti ed il vento a scuoterlo. Che ne sarebbe delle onde se il mare non si lasciasse scalfire, non si lasciasse andare? Non avremmo che una tavola piatta intenta a chiedersi il perche' della sua incapacità di incresparsi come tanti altri mari... non avremmo che noi stessi, chiusi in noi stessi.

martedì 23 novembre 2010

Vorrei

Vorrei andare oltre quella visione contingente che mi tiene incatenata a questo suolo, vorrei poter amare come se fosse per sempre, vorrei poterlo fare pur sapendo che domani probabilmente finirà...
Ma con piedi di metallo mi appresto a spiccare imbarazzati voli realizzando l'impossibilità di lasciar cadere questo pensiero...

lunedì 22 novembre 2010

Ritorno d'infanzia: il fallimento di chi sceglie di non esserci

Oggi sono felice, sarà anche per l'aver chiarito tutto di persona ieri sera ed aver passato una splendida nottata (anche se sempre con quel dubbio atroce di come finirà). Quello che però voglio condividere con questo blog è un piccolo grande ritorno d'infanzia.
Specifico che parlo degli anni delle scuole medie, quella famosa fascia di età che copre il tuo passaggio prendendoti per mano e portandoti dall'essere bambino a diventare adolescente, magari strattonandoti un po', facendoti cadere ma dal quale, anche se con difficoltà, riesci sempre ad alzarti. Non ho molti ricordi positivi di quel periodo, ma uno sì.
Ricordo una persona che c'è stata, forse la prima che, per quanto potesse essere in realtà poi così poco, c'è stata veramente: R. La nostra amicizia era nata in modo travagliato, lei era la classica brutta anatroccola, viveva su una collina in una casa di mattoni e sognava un cavallo. Io, per quel che ricordo, sognavo i cani. Forse questo ci ha avvicinate. Per gli altri lei non era niente, forse nemmeno io, ma sicuramente ero più coinvolta. Le finte amicizie iniziano già sin dalla tenera età, sin dalle scuole medie ed io ne avevo tante. Forse per la bella casa, forse per il forte legame con T. , ragazza simpatica e brillante che persino adesso ho a mio fianco. Tuttavia questa è la mia storia e non voglio mischiarla con quella di R. .
R. era allegra e forse un po' sola, viveva di sogni e di speranze, non aveva una bella famiglia, non è mai stata realmente accettata dai nostri coetanei. Sarà per quei capelli sempre un po' crespi, per la sua naturale spontaneità, per quegli occhi troppo buoni, per le lentiggini oppure per il suo abbigliamento sempre un po' troppo lontano dai canoni della Diesel, allora marca di tendenza.
E' stata colpa mia non aver capito il suo bisogno, è stata colpa mia non aver capito che era maggiore del mio. Parlo del bisogno di ricevere, manifestato tramite il dare, il cercare, l'essere disponibile sempre e comunque, malgrado tutto. Allora non potevo capire quanto significasse, allora ero una bambina. Il mio spirito mi ha portato ad avvicinarmici, nonostante tutte le critiche e l'allontanamento dei compagni con i quali tentavo di riallacciare un rapporto. Non mi pento di niente, io e R. abbiamo passato momenti splendidi, ricordo ancora la prima ricarica del cellulare totalmente bruciata dal troppo messaggiare, ricordo le radioline con le quali tentavamo di trovarci la notte, quando lei si fermava a dormire da una mia vicina... quello che ricordo maggiormente sono le nostre scampagnate. Ogni giorno avevamo un sogno, ogni giorno una missione. Spesso la decidevo io e lei me lo lasciava fare dicendo "sei la mia migliore amica, ti lascio decidere", ahiai, se avessi recepito prima quella lezione quanto starei meglio adesso! No, non parlo del sottomettersi, non si tratta di quello, si tratta di mettersi a disposizione dell'altro, di sacrificare il proprio interesse per vederlo felice. E così partivamo e raggiugevamo la vetta della collina per vedere la villa di M., mia prima cotta (o forse seconda). Oppure andavamo a vedere chiese sconsacrate nascoste su colline lontane, per sentieri tortuosi quasi di montagna... ho fatto tutto questo. La giornata che più mi è rimasta impressa e che mi ha sempre perseguitato fino ad oggi è stata quella in cui ci eravamo addentrate per i boschi che confinano con il mio paesino... i boschi della resistenza partigiana, quel monte ci poteva costare caro. Avevo uno zainetto, uno di quelli che si mette in spalla con due lacci, ma forse era troppo pesante, io ero troppo esile. Dopo un po' che camminavamo iniziammo a notare una macchina seguirci, dentro c'era un uomo. Il sospetto si fece sempre più realtà fino a che non decidemmo di correre su per quei rovi. Fu allora che non ce la feci e caddi, la macchina si era fermata. R. non ci pensò due volte: prese il mio zainetto per me divenuto troppo pesante, mi alzò con un braccio e cominciò a strattonarmi in salita per quegli scalini terrosi. Presto, non senza danni, riuscimmo a giungere a casa di un contadino e la macchina ovviamente non poté seguirci. Quel giorno le dissi: R. , io ti devo la vita. E così forse è. Ad ogni modo non sono riuscita a salvarla, non sono riuscita a restituirle il favore... ricordo solo che alla fine delle scuole medie era già diventata cigno, ma non senza riportare quelle ferite inflitte dalla solitudine e forse anche da me. Dico sempre "forse", dato che ormai di quel periodo non ho piu' certezze. Ricordo l'ultimo giorno di scuola, nel quale mi disse "vai, fai la tua strada, io non posso scegliere la tua, l'economia non fa per me" (riferendosi a ragioneria), poi mi abbracciò e ricordo perfettamente quell'abbraccio dato dopo un ultimo spettacolo celebrato nell'aria di un giugno ormai lontano. Ricordo forse anche la sua maglietta grigia, sicuramente il suo volto.
Poi il declino, la solitudine, l'abbandono, la droga. R. è sparita, R. è sparita per anni e non l'ho più rivista. Mi han detto che ti han visto alla stazione, mi han detto che ti sei quasi sposata con uno spacciatore, mi han detto che ti han portato via un figlio, mi han detto che ti sei fatta aiutare. Io so solo che eri sola. Per me eri troppo lontano e non so quanto sarei stata in grado di aiutarti se solo fossi stata più vicina, forse non sarei stata in grado di farlo. Ma ti rivedo adesso, anche se solo virtualmente, ti ho parlato, mi hai detto che hai una figlia, che sei tornata vicino alla casa dei tuoi genitori, ancora una volta tra le colline, mi hai detto che non trovi lavoro ed infine mi hai dato il tuo numero di cellulare. Adesso ho paura di rincontrarti ma allo stesso tempo lo desidero e mi rende felice, non ho mai pensato male di te, non ti ho mai cancellata, non ti ho mai mai mai giudicata. Non vedo l'ora di rivederti ma, capiscimi, ho paura di trovarmi davanti alle mie negligenze, ad un "fallimento" che, anche se superato, è anche il mio. E' il fallimento di chi ha scelto di non esserci. Perdonami.

domenica 21 novembre 2010

Autogrill

"La ragazza dietro al banco mescolava, birra chiara e seven up..."

Forse è per questa canzone che l'idea di lavorare in un bar mi ispira così tanto... da studentessa squattrinata da molto tempo cerco un impiego part-time, oltre all'inutile ricerca di un vero lavoro dopo la laurea triennale, ahimé finita male.
Oggi, passeggiando per il centro di XXXXXX, ho deciso di imboccare la lunga via che porta verso la stazione. Mi è sempre piaciuta la stazione, ed i treni... forse per la lunga discendenza familiare di "ferrovieri", forse per le sensazioni che mi danno, forse per le persone che in ogni momento li invadono o forse più semplicemente per lo spirito del "viaggio" che da sempre contraddistingue il mio esistere. Dunque mi sono affacciata al bar, il classico "bar della stazione", aveva un nome, ma non credo che la gente ci faccia caso, quello è il classico luogo che rimarrà sempre e comunque "bar della stazione", senza pagar pegno a quell'insegna luminosa sulla quale qualcuno decise di incidere un altro appellativo.

Già ce lo vedo: "lasciatemi stare, sono il Bar della stazione, non attaccatemi false etichette! Seguo la mia stirpe io..."
Dunque dicevamo... sono entrata nel bar della stazione. Tutte le volte che mi perdo nei miei pensieri sogno di lavorarci (ok, non tutte, a volte penso anche ad altro). Penso sempre a che tipo di persone possono fermarsi su quegli sgabelli apparentemente così nuovi ed immacolati, quasi come se qualcuno alla sera si fermi e con un panno porti via tutti i segni della giornata. Mi piace l'idea del momento, anche se non riesco ad afferrare la sua filosofia, mi piace pensare che quella persona è lì e porta con sé una vita, una storia, forse tanta fretta o tanta saggezza. Ci possono passare tutti, dalla casalinga al pensionato, dal business man all'artista.  Forse alcuni ti guardano sprezzanti, ma è meraviglioso il contatto che si riesce in quell'attimo a stabilire con altri. Ognuno ha qualcosa di sé dentro agli occhi e così, mentre servi un cappuccino od un caffè macchiato freddo per i più frettolosi, rubi quella scintilla di vita così personale e latente. E intanto pensi... quanto sarebbe bello poter viaggiare...

Quando lasciare la vecchia strada per la nuova...

Ci sono stati un po' di cambiamenti in questo ultimo giorno. Cambiamenti che mi hanno fatto molto pensare. Innanzitutto è stata la lontananza da lui, ormai sette lunghi giorni, ad avermi fatto riflettere. Il clima era ottimo per un abbandono, per un addio alla grande, senza possibilità di ritorno, per una finale coscienza dell'impossibilità di proseguire... avevo la fine in mano e, per caso, mi sono trovata posate sul grembo le redini di un'altra carrozza che mi avrebbe portato in luoghi nuovi da visitare, ma fino ad adesso impossibili da raggiungere.
Avrei potuto fare cose che questa relazione non mi permette, avrei potuto forse essere soddisfatta con una persona valida accanto. Eppure la realtà è sempre una doccia fredda. Quando si ha una persona così profondamente nel cuore e nell'anima tutto quel che non va sembra un macigno, un ostacolo sulla strada, ma quando ti allontani e cambi direzione, nonostante il viottolo sia spianato, nonostante ci siano poche pietre che intralciano il passo, l'unica cosa che vuoi fare è tornare di fronte a quell'ostacolo, caricartelo in spalla e portarlo con te lungo quel tortuoso cammino. Non importa quanto lontano andrai, sai benissimo che la strada potrebbe finire dietro alla prossima curva e che quel macigno forse è un po' troppo pesante per il tuo cavallo, sai che forse il tutto si fermerà prima del previsto. Ma non importa, non si può essere felici senza colui che si ama, non si può sostituire al pari di una qualsiasi altra cosa a cui si è affezionati. E sì, ci è voluto tanto per capirlo, ero convinta di stare meglio, di notare le differenze e dire finalmente "sto male, ma ora posso..." ed invece no, non è rimasto che l'inizio di quella frase così illusoria e persino egoistica. Quando si trova la persona giusta, non sono le cose a fare la differenza, ma le persone. Come dire...forse è vero che chiodo schiaccia chiodo, ma solo quando il nuovo chiodo è più giusto del precedente e... si sà quanto sia difficile nell'arco di una vita trovare più di una persona da poter ritenere "giusta", non posso che aprire gli occhi e percorrere la mia vecchia strada da sola piangendo...

venerdì 19 novembre 2010

Nuvole

vorrei esserci anche io lì, su quelle nuvole così soffici ed eteree. Vorrei essere avvolta da quel calore umido ed essere trascinata a fare il giro del mondo, vedere l'africa, l'asia, l'australia... passare sui deserti durante le tempeste o sugli elefanti che migrano spinti da un'istinto che nemmeno loro comprendono. E così, forse, sarei felice. In fondo è là che ho sempre cercato la mia felicità: lontano da tutti, in luoghi da scoprire.

Quel che c'è è quel che rimane

Ed oggi sento ancora di piu' l'assenza di quel gruppo di persone del quale non si può fare a meno nella propria vita, non un gruppo di persone qualunque, ma QUEL gruppo, in cui le risate sorgono così naturali, in cui si può condivedere parte delle nostre giornate, apparentemente sempre uguali. Invece sono qui, da sola, come sempre. Lui c'è ma allo stesso tempo non può esserci, che buffo paradosso. So che in fin dei conti è una grande fortuna, ma anche la vita quotidiana conta. Così... pensavo questo quando qualche minuto fa mi è venuto in mente che mi sarebbe piaciuto andare al cinema per vedere uno stupido film. Non l'avessi mai pensato... la prima domanda che mi sono posta è stata: "con chi?". No, non sono una persona "isolata", ho degli amici accanto, molti di lunga data, ma non sono profondamente legata a nessuno di loro, ognuno ha la sua vita così lontana dalla mia e difficilmente mi seguirebbe. E un'altra volta mi accorgo di non aver costruito molto attorno a me in tutto questo tempo, quanto darei per iniziare a mettere un mattone su un leggero strato di calcina, fosse solo uno. Invece sembro buona solo a distruggere. Avevo molto, avevo tutto e guardate come ho ridotto il rapporto con "lui": ad un'altalena diroccata. C'è oggi, ci vorrebbe poter essere a pieno domani, ma così non sa se potrà mai farlo. Eppure mi illudevo di avere tutto... non ho un bel niente, l'unica cosa che mi ritrovo è una persona di valore che ho costretto, involontariamente, a rimpicciolirsi fino a pensare di poter scomparire nel vicino futuro. No, non mi ritengo più una bella persona.

domenica 14 novembre 2010

Nuovo proposito

Ascoltare una canzone nuova ogni giorno, giusto per non finire, come al solito, attaccata a quel gomitolo di emozioni legato alle consuete note ed agli stessi testi che ormai da troppo tempo sento echeggiare nella mia testa. L'ascolto è una raccolta di sentimenti  e sensazioni, spesso nate da determinate circostanze o da ricordi lontani. Quelle parole sostenute da così tante note, saltellanti o struggenti, viaggiano all'interno della nostra psiche riportando a galla vecchi pezzi di vita... sarebbe bello ogni tanto crearne di nuovi.

giovedì 11 novembre 2010

Pensieri negativi

Le cose sono andate meglio del previsto. Fino ad oggi lo davo per spacciato, ero convinta di dover rinunciare ad avere una persona nella mia vita, una persona che mi è sempre stata accanto e che amo di un amore fraterno e stupendo. Ero convinta che sarebbe andata male, che non avrebbe resistito all'operazione; ero convinta di tante cose.
Dopo la telefonata sono stata meglio, ma allo stesso tempo peggio. Ho ripensato a tutti questi mesi in cui davo per possibile sempre e solo l'ipotesi più negativa, quante volte ho sbagliato... quante volte è andata davvero male? Negli ultimi sei mesi solo una volta, ma esclusivamente come conseguenza al mio modo di pensare che ha influenzato, in parte, chi avevo attorno.
Non ricordo dove una volta ho letto qualcosa di simile a: "se inizierai a credere nella felicità con la stessa forza con cui credi nel male allora riuscirai ad essere veramente felice". Chiunque l'abbia scritto ha profondamente ragione. Ho passato la mia vita a pensare al peggio, a vedere solo nero, a non poter gioire per la convinzione che sarebbe finita. Nonostante questo lui è ancora qui.
Capisco quanto debba essere difficile stare accanto ad una persona come me; ti senti continuamente sfiduciato, come una piccola parentesi: un passante. Eppure lui non è una parentesi, non lo è mai stato, non l'ho mai cancellato, forse mai lo farò. Non posso continuare a comportarmi come se fosse già finita, non faccio altro che scavarmi la fossa.
Per il momento lui rimane: riflettendo, senza garanzie, senza certezze, ma c'è. Ma per quanto ancora?
Non faccio che pensare che ogni mio sforzo in questa situazione sarebbe vano.
Chissà come mi comporterei se riuscissi a vedere un happy ending a questa storia così travagliata. Riuscirei davvero a farlo tornare ad essere felice? Riuscirei davvero ad essere felice? Probabilmente sì. Non mi resta che capire perche' non ci riesco ed iniziare un nuovo percorso, poco a poco, passo a passo.

mercoledì 10 novembre 2010

(Tear) drops

Gocce, goccioline, goccette, pillole, pasticchine, compresse... la compagnia è infinita! Forse sarebbe meglio se tutti noi la smettessimo ed iniziassimo a parlare di più. "Promettimi che quando tutto questo sarà finito le butterai via" mi diceva lui in una notte d'estate. Sapeva già che sono la debolezza dell'anima... ma l'anima quando è sola è più debole e così menomale che non le ho mai buttate. Vorrei tanto poter trovare la condivisione di cui necessito, poter trasmettere ogni parola lungo un canale etereo attraverso il quale nemmeno la minima essenza viene persa da colui che riceve. Eppure non è così, per molti non è così ed allora, come un cane, mi ritrovo a tornare con la coda tra le gambe da quelle padrone che, non ti amano, ma se non altro ti danno da mangiare.

La solitudine dello scrittore

Chissà cosa mi ritroverò a scrivere oggi... che dire? Ormai ci ho preso gusto, è stata una buona idea. Soprattutto mi piace l'idea di poter scrivere qualcosa di spontaneo e informale, quasi come se parlassi effettivamente a qualcuno. Forse lo sto facendo, chissà. In fondo la scrittura non è mai fine a sé stessa e se lo dovesse essere, sarebbe sicuramente per un buon motivo.
L'importante è scrivere scrivere scrivere: scrivere per guarire, scrivere per aprirsi, scrivere per diventare più umani, scrivere per entrare in contatto con l'umanità di altra gente.
Ed eccomi qua.
A volte penso che proprio la scrittura sia la mia fonte di vita. Se mi chiedessero cosa vorrei fare risponderei: scrivere. Non so se un libro o cos'altro, ma sicuramente è una cosa di cui, una volta iniziato, non si può più fare a meno. Principalmente a non poterne fare a meno sono le persone "sole".  Solo è chi non riesce a trovare comprensione all'esterno, non chi non ha persone attorno, in tal caso oserei dire "isolato".
Stranamente si può essere soli anche in compagnia,  in una relazione,  in gruppo, in metropolitana a Milano e così via. Non conta quante persone hai attorno: la solitudine è un concetto molto più complesso della mera fisicità delle cose.
Così non mi vergogno a dire che mi sento sola. Può succedere, talvolta, che mi imbatta in qualcosa di familiare: uno scritto, un volto, un gesto... ed in quei momenti mi sento completa, in un certo senso amata, compresa. Tuttavia la mia solitudine è una linea continua, mentre la vera condivisione di emozioni, vita, pensieri (la c.d. compagnia) non è che un tratteggio sporadico, come un quadro composto da tanti puntini discontinui.
Forse è inopportuno ammetterlo, è triste, sgraziato, persino pretenzioso e sprezzante, ma solo chi galleggia può non sentirsi solo.Se scendi in profondità è difficile vedere, è difficile trovare qualcuno che nuoti nella stessa direzione, che sappia trovare le tue mani al buio e che segua la tua scia pur senza l'aiuto della luce del sole che, rendendo visibili le cose, rallegra e facilita.
Così, io nuoto, mi immergo, sono già immersa, in attesa di trovare quegli occhi che mi sappiano comprendere, anche al buio, nel profondo, senza parlare...

martedì 9 novembre 2010

Tempo, non c'è tempo...

"Sempre più in affanno inseguo il nostro tempo vuoto di senso, senso di vuoto..." così prosegue la canzone. Quante cose si capiscono rileggendo le nostre parole, apparentemente gettate lì come una manciata di sabbia su un foglio di giornale. Che rumore sottile! E come sono facili da scuotere via, quasi con noncuranza. Quello di cui mi sono accorta è che non comprendo più i pensieri, non li metabolizzo ma mi limito ad estrometterli con rabbia e violenza nel loro stato grezzo. Non mi soffermo, non cerco più di capirli, non li raffino; escono così come sono.
Ma, come tutto, anche questo rappresenta la mia vita: sono troppo spinta ad afferrare le cose con violenza per prenderle e renderle mie, così nessuno le potrà più toccare. E invece no, così facendo rischio di danneggiarle, non comprenderle a fondo, non dargli la giusta attenzione che meritano. Sarebbe come porsi affamati di fronte ad un piatto di spaghetti: lo mangeremmo tutto senza gustarlo solo per il gusto di riempirci la pancia, e così è. Non attribuisco più un valore a quel che faccio, al contrario, tendo a fare, fare, fare e ancora strafare per colmare quel vuoto di senso (come dice Battiato) che ho dentro. Eppure il vuoto si colma con il valore di poche cose, non con la quantità di esse.

Odi et amo - il dilemma dell'oggi e del domani

"Ci sarò comunque vada". Ogni volta è un colpo al cuore. Facile per lui... tanto avrà sempre qualcun altro nella sua vita, ma cosa dovrei fare io? Accettare il fatto che ci sia ma che stia con un'altra persona? Come può rivolgersi a me con quelle parole?
Forse sbaglio; avere una persona su cui contare nella propria vita non è poco, ma bisogna anche saper tenere solo coloro che ci fanno star bene. Qualora dovesse finire male non lo vorrei mai e poi mai nella mia vita, mai. Dovrei pure lasciargli la consolazione di poterci essere? Mai. Non riuscirei a tollerare il fatto di saperlo con un'altra a dire ciò che diceva a me. So che molto probabilmente andrà a finire così e già lo odio all'idea. Lo odio per tutto quello che abbiamo passato insieme, perche' non avevo mai vissuto niente di così vero e travolgente, perche' con lui ho fatto cose che mai avrei fatto prima. Probabilmente è lui a dovermi odiare per come è stato trattato: mai un briciolo di fiducia da parte mia, nonostante quel che facesse continuavo a diffidare. Ecco un mio grande difetto: diffido di tutto, anche della felicità. Non ho mai capito che mi amava fino in fondo, nonostante le grandi prove ed adesso lui sente di aver bisogno di qualcuno che lo capisca, qualcuno che ha sempre avuto nella sua vita, nel bene e nel male. So di dovergli dire addio, stare ad aspettare è stupido e la speranza, come dice Nietzsche, prolunga la sofferenza degli uomini. Non riesco a godermi il suo "esserci oggi" sapendo che molto probabilmente non ci sarà domani. Ecco un altro mio grande problema: non mi godo il momento pensando sempre al peggio. Non voglio continuare a vivere pensando di dover morire, in questa ottica niente ha senso. Ma come godiamo di un momento così bello sapendo che domani sarà finita? In fondo continuo a sperare che possa non essere così, ma la verità è una sola e non sta dalla mia parte...

lunedì 8 novembre 2010

Io che non piangevo mai

Che strana che è la vita a volte, ti immagini in un certo modo, sei convinto che tutto ciò che accadrà sarà frutto del tuo carattere, del tuo modo di vedere la vita ed invece non è così. Io... io che solo 6 mesi fa ero fredda e razionale, incapace di staccarmi da un amore che tale non poteva definirsi, incapace di provare amore vero, incapace di cedere alla parte emotiva di me stessa che pensavo non esistere... io che non piangevo mai... guardatemi adesso, guardate come mi ritrovo: nel bel mezzo della storia più irrazionale della mia vita, a piangere. Non mi era più successo di piangere come oggi. Non so cosa sia passato per la mia mente, so solo che pensavo di aver incassato abbastanza bene la brutta notizia, pensavo di poterla gestire e così sono uscita. In men che non si dica, mentre stavo guidando, ho pensato a tutto ciò che stava per finire, al fatto che quasi sicuramente a breve tutto ciò a cui ho da sempre destinato il mio amore sparirà, sarò davvero sola, due persone "cardine" della mia vita se ne stanno per andare e non mi rimarrà niente. Improvvisamente le lacrime sono uscite con forza da quegli occhi fino ad adesso così asciutti ed impenetrabili... ma non è stato questo ad essere strano, la cosa più sconvolgente sono stati i singhiozzi, l'incapacità di smettere, proprio come quando ero bambina... non ho potuto fare a meno di accostare e prendere un fazzoletto per asciugarmi quelle lacrime nuove. Quasi per beffa io, dura e arida, stavo piangendo nel mezzo di una strada trafficata. Dopo aver preso le mie gocce ho trovato la forza di rimettermi in viaggio e far nuovamente finta di essere intangibile. Sto forse scoprendo una nuova me stessa? O siamo noi che davanti al dolore reagiamo in modo inaspettato?

Domanda lecita

Comunicare, si parla tanto di comunicare, ma a chi? Prima non me lo chiedevo, prima scrivevo per me stessa, per esprimere qualcosa che al di fuori di me non sarebbe stato capito, forse era semplicemente uno sfogo. Ma adesso? A chi sto comunicando le mie sensazioni più intime che mai ho osato esternare? Eppure non sembra un'idea così malvagia... era solo un lecito dubbio come tanti altri, irripudiabili figli di coloro che non possono far a meno di pensare.

Seconda considerazione

Ed eccoci alla fine, la linea di con-fine: la verità. Oggi mi trovo davanti a quell'inesorabile scadenza, per un verso e per l'altro... Oggi mi trovo a poter perdere improvvisamente due persone che negli ultimi dieci anni mi sono state vicine, due persone che amo, una in un modo, l'altra in un altro. Non poter stare più nelle braccia di una e non poter vedere più l'altra girare per casa è una sensazione orribile. Prima o poi doveva finire qui dice Vecchioni in una delle sue canzoni... non faccio altro che pagare le conseguenze di essere viva e di vivere... nella mia mente echeggia un "si vive, si vivrà ancora", anche senza di loro, e questa suona più come una condanna che come una consolazione...

Esordio di poche parole

L'attesa fa male. Questa è l'unica considerazione che mi sento di fare oggi.