Oggi sono felice, sarà anche per l'aver chiarito tutto di persona ieri sera ed aver passato una splendida nottata (anche se sempre con quel dubbio atroce di come finirà). Quello che però voglio condividere con questo blog è un piccolo grande ritorno d'infanzia.
Specifico che parlo degli anni delle scuole medie, quella famosa fascia di età che copre il tuo passaggio prendendoti per mano e portandoti dall'essere bambino a diventare adolescente, magari strattonandoti un po', facendoti cadere ma dal quale, anche se con difficoltà, riesci sempre ad alzarti. Non ho molti ricordi positivi di quel periodo, ma uno sì.
Ricordo una persona che c'è stata, forse la prima che, per quanto potesse essere in realtà poi così poco, c'è stata veramente: R. La nostra amicizia era nata in modo travagliato, lei era la classica brutta anatroccola, viveva su una collina in una casa di mattoni e sognava un cavallo. Io, per quel che ricordo, sognavo i cani. Forse questo ci ha avvicinate. Per gli altri lei non era niente, forse nemmeno io, ma sicuramente ero più coinvolta. Le finte amicizie iniziano già sin dalla tenera età, sin dalle scuole medie ed io ne avevo tante. Forse per la bella casa, forse per il forte legame con T. , ragazza simpatica e brillante che persino adesso ho a mio fianco. Tuttavia questa è la mia storia e non voglio mischiarla con quella di R. .
R. era allegra e forse un po' sola, viveva di sogni e di speranze, non aveva una bella famiglia, non è mai stata realmente accettata dai nostri coetanei. Sarà per quei capelli sempre un po' crespi, per la sua naturale spontaneità, per quegli occhi troppo buoni, per le lentiggini oppure per il suo abbigliamento sempre un po' troppo lontano dai canoni della Diesel, allora marca di tendenza.
E' stata colpa mia non aver capito il suo bisogno, è stata colpa mia non aver capito che era maggiore del mio. Parlo del bisogno di ricevere, manifestato tramite il dare, il cercare, l'essere disponibile sempre e comunque, malgrado tutto. Allora non potevo capire quanto significasse, allora ero una bambina. Il mio spirito mi ha portato ad avvicinarmici, nonostante tutte le critiche e l'allontanamento dei compagni con i quali tentavo di riallacciare un rapporto. Non mi pento di niente, io e R. abbiamo passato momenti splendidi, ricordo ancora la prima ricarica del cellulare totalmente bruciata dal troppo messaggiare, ricordo le radioline con le quali tentavamo di trovarci la notte, quando lei si fermava a dormire da una mia vicina... quello che ricordo maggiormente sono le nostre scampagnate. Ogni giorno avevamo un sogno, ogni giorno una missione. Spesso la decidevo io e lei me lo lasciava fare dicendo "sei la mia migliore amica, ti lascio decidere", ahiai, se avessi recepito prima quella lezione quanto starei meglio adesso! No, non parlo del sottomettersi, non si tratta di quello, si tratta di mettersi a disposizione dell'altro, di sacrificare il proprio interesse per vederlo felice. E così partivamo e raggiugevamo la vetta della collina per vedere la villa di M., mia prima cotta (o forse seconda). Oppure andavamo a vedere chiese sconsacrate nascoste su colline lontane, per sentieri tortuosi quasi di montagna... ho fatto tutto questo. La giornata che più mi è rimasta impressa e che mi ha sempre perseguitato fino ad oggi è stata quella in cui ci eravamo addentrate per i boschi che confinano con il mio paesino... i boschi della resistenza partigiana, quel monte ci poteva costare caro. Avevo uno zainetto, uno di quelli che si mette in spalla con due lacci, ma forse era troppo pesante, io ero troppo esile. Dopo un po' che camminavamo iniziammo a notare una macchina seguirci, dentro c'era un uomo. Il sospetto si fece sempre più realtà fino a che non decidemmo di correre su per quei rovi. Fu allora che non ce la feci e caddi, la macchina si era fermata. R. non ci pensò due volte: prese il mio zainetto per me divenuto troppo pesante, mi alzò con un braccio e cominciò a strattonarmi in salita per quegli scalini terrosi. Presto, non senza danni, riuscimmo a giungere a casa di un contadino e la macchina ovviamente non poté seguirci. Quel giorno le dissi: R. , io ti devo la vita. E così forse è. Ad ogni modo non sono riuscita a salvarla, non sono riuscita a restituirle il favore... ricordo solo che alla fine delle scuole medie era già diventata cigno, ma non senza riportare quelle ferite inflitte dalla solitudine e forse anche da me. Dico sempre "forse", dato che ormai di quel periodo non ho piu' certezze. Ricordo l'ultimo giorno di scuola, nel quale mi disse "vai, fai la tua strada, io non posso scegliere la tua, l'economia non fa per me" (riferendosi a ragioneria), poi mi abbracciò e ricordo perfettamente quell'abbraccio dato dopo un ultimo spettacolo celebrato nell'aria di un giugno ormai lontano. Ricordo forse anche la sua maglietta grigia, sicuramente il suo volto.
Poi il declino, la solitudine, l'abbandono, la droga. R. è sparita, R. è sparita per anni e non l'ho più rivista. Mi han detto che ti han visto alla stazione, mi han detto che ti sei quasi sposata con uno spacciatore, mi han detto che ti han portato via un figlio, mi han detto che ti sei fatta aiutare. Io so solo che eri sola. Per me eri troppo lontano e non so quanto sarei stata in grado di aiutarti se solo fossi stata più vicina, forse non sarei stata in grado di farlo. Ma ti rivedo adesso, anche se solo virtualmente, ti ho parlato, mi hai detto che hai una figlia, che sei tornata vicino alla casa dei tuoi genitori, ancora una volta tra le colline, mi hai detto che non trovi lavoro ed infine mi hai dato il tuo numero di cellulare. Adesso ho paura di rincontrarti ma allo stesso tempo lo desidero e mi rende felice, non ho mai pensato male di te, non ti ho mai cancellata, non ti ho mai mai mai giudicata. Non vedo l'ora di rivederti ma, capiscimi, ho paura di trovarmi davanti alle mie negligenze, ad un "fallimento" che, anche se superato, è anche il mio. E' il fallimento di chi ha scelto di non esserci. Perdonami.
Nessun commento:
Posta un commento