"Sempre più in affanno inseguo il nostro tempo vuoto di senso, senso di vuoto..." così prosegue la canzone. Quante cose si capiscono rileggendo le nostre parole, apparentemente gettate lì come una manciata di sabbia su un foglio di giornale. Che rumore sottile! E come sono facili da scuotere via, quasi con noncuranza. Quello di cui mi sono accorta è che non comprendo più i pensieri, non li metabolizzo ma mi limito ad estrometterli con rabbia e violenza nel loro stato grezzo. Non mi soffermo, non cerco più di capirli, non li raffino; escono così come sono.
Ma, come tutto, anche questo rappresenta la mia vita: sono troppo spinta ad afferrare le cose con violenza per prenderle e renderle mie, così nessuno le potrà più toccare. E invece no, così facendo rischio di danneggiarle, non comprenderle a fondo, non dargli la giusta attenzione che meritano. Sarebbe come porsi affamati di fronte ad un piatto di spaghetti: lo mangeremmo tutto senza gustarlo solo per il gusto di riempirci la pancia, e così è. Non attribuisco più un valore a quel che faccio, al contrario, tendo a fare, fare, fare e ancora strafare per colmare quel vuoto di senso (come dice Battiato) che ho dentro. Eppure il vuoto si colma con il valore di poche cose, non con la quantità di esse.
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