mercoledì 24 novembre 2010

Dall'Arno al mare, il segreto del "non volere" per poter ondeggiare...

Oggi ho fatto una passeggiata. Mi sono presa del tempo e parlato con me stessa, mi sono connessa ai miei più intimi pensieri, il che potrebbe sembrare melanconico, ma non lo è. Camminando in riva a quel fiume oggetto di tanta poesia, ho ripercorso i miei ricordi d'infanzia, ancora una volta. Non era un camminare disinteressato: avevo una meta. Il contenitore dei miei primi anni, la mia vecchia casa, forse presto nuova.
Per la prima volta non voglio fare le cose di fretta, quella casa è realmente importante per me ed adesso mi appare vuota, senza senso, spoglia. Se mi andassi ad unire a lei in questo momento non saremmo che due anime sole senza un perché, probabilmente ci faremmo compagnia, ma non costruiremmo niente insieme. Vivere non è sopportare, vivere è agire, influire, non limitarsi ad accettare le cose come sono. Vivere è credere di poter cambiare il corso degli eventi, è il vedere un futuro da noi scelto e non subìto. Così, quando mi riunirò a lei sarà da persona in grado di cavarsela, forse ci vedremo nel momento del bisogno, nel momento in cui le trame della vita hanno bisogno di essere strigliate e rimesse in ordine, ma non ci fonderemo insieme fino a che non sarò pronta. Voglio essere in grado di sfruttare al meglio tutto ciò che ha da offrirmi, così voglio che essa abbia il meglio e solo il meglio da me. Non renderemo questa nostra convivenza una bettola diroccata. Così, casa mia, dovrai attendermi.
Ad ogni modo, oggi ho camminato, che per me corrisponde a dire "ho pensato". Ho pensato lontana da ogni influsso esterno, da ogni distrazione interna, ho pensato libera nella natura, nel fango, tra gli aghi di pino, tra le radici che fanno capolino dal terreno più asciutto e tra l'erba folta raramente oggetto d'attenzione della penuria di passanti. Ho indossato un lettore mp3, uno di quegli oggetti tecnologici che così male si confanno alla mia personalità. Non mi piacciono le cuffie, mi sembra di estraniarmi dall'ambiente, spesso così bello. In più mi lascia intuire un che di maleducato. Non vivo in una grande città, è probabile che passando qualcuni ti fermi, anche qualcuno che non conosci, qualche vecchio signore che si domanda che fine abbia fatto il tuo cane o che ti racconta la triste fine del suo, compagno di vita. I vecchi sono così, a volte hanno bisogno di fermarsi a parlare, di carpire qualche scintilla di vita dall'esterno o di condividere la propria esperienza, fosse solo per un cane. Così ogni volta che passo vicino a qualche signore mi tolgo una cuffia o, facendo finta di aggiustarmi la sciarpa, silenzio la musica per qualche istante, giusto per assicurarmi che quei potenziali intrattenitori non si prestino a rivolgermi parola o un cenno di saluto. Pensavo, pensavo... pensavo che non mi sentivo sola, pensavo che non si è soli a volte, nelle mie orecchie echeggiava Gaber, che questo maledetto oggetto tecnologico si ostina a chiamare Ga-bèr. Era come se ci stessimo parlando, se mi stesse tenendo compagnia, chissà, non è proprio questo uno dei ruoli della musica? Gaber mi piace, spesso parla, spesso dialoga. Così oggi mi diceva che un po' di solitudine è necessaria per star bene in compagnia, io mi fido, perché lo stimo. Mi parlava anche delle relazioni, solo il 2% dei matrimoni è effettivamente felice, mi parlava poi del fare l'amore il sabato, tanto il giorno dopo è festa... sensazioni ormai familiari che non vorrei mai abbandonare. Ho il terrore di non poter più condividere la mia vita nel modo in cui sto facendo, ho paura di tornare a non voler cedere me stessa, a non accettare l'altro. Ho paura di richiudermi in me stessa, più di quanto non lo sia adesso. Lasciate che questo spiraglio diventi una porta aperta, non chiudete la porta... così spero che lui non la chiuda per me. Forse l'errore nella mia vita è il volere, voler raggiungere, voler essere, voler fare. Voglio, voglio, voglio. E' tutto un voglio e quando mi chiedo perche' non ci riesca la risposta non sa giungere, non sa trovare via d'uscita da questo corpo. Eppure è dentro di me, lo sento. Forse dovremmo vivere realmente "navigando a vista", senza volere a tutti i costi, in balia delle onde. Lo sappiamo bene, non è il mare a decidere di ondeggiare, sono le correnti ed il vento a scuoterlo. Che ne sarebbe delle onde se il mare non si lasciasse scalfire, non si lasciasse andare? Non avremmo che una tavola piatta intenta a chiedersi il perche' della sua incapacità di incresparsi come tanti altri mari... non avremmo che noi stessi, chiusi in noi stessi.

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