mercoledì 13 aprile 2011

Il punto

Punto. E' sempre difficile metterne uno. Così piccolo, perfetto nella sua sfericità, conclusivo. Eppure ogni giorno fatichiamo ad apporlo. Fatichiamo a gettare via i ricordi, a cancellare un numero da una pagina stropicciata, a fare i bagagli e partire...

Punto.

Forse abbiamo paura di sbagliare o più semplicemente il "mai più" ci spaventa rendendoci tutti dei miseri codardi. In fondo anche la morte stessa non è che il mai più per eccezione.
A volte lo si desidera, ma è sempre un'attrazione macabra, o una sorta di lavaggio di mani alla Ponzio Pilato.

Punto. E ora vedetevela voi.

Difficile è quando il punto non è nessuna tra le suddette, ma la giusta conclusione di qualcosa che ha già avuto una fine, solamente non ancora confermata. Come se il mondo avesse ancora bisogno della parola dell'ultimo essere vivente prima di smettere di girare.

"Punto". Tutti morti, tutti andati.

Così ci troviamo giustizieri del nostro passato, esecutori di qualcuno già morto, falsi e ipocriti lavatori di vetri rotti, macellai di carne avariata. Qual è il punto di arrivo di questo meccanico definizionismo? Forse il sogno  continuo, l'illusione perenne. Forse vogliamo sentirci padroni degli eventi, come se essi dipendessero realmente da noi, da ciò che siamo ed abbiamo costruito. Ma non è così: l'ambiguità causale contraddistingue il flusso degli eventi. Non siamo che puntini sbatacchiati dalla corrente. Eppure abbiamo bisogno di dirlo, per togliere ogni dubbio, conferire certezze ad un futuro incerto e volubile che si autodefinisce

Punto.

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