martedì 26 aprile 2011

Along the way

Ed in fondo sono felice mentre cammino. Sono felice adesso: qui ed ora. Sono felice di essermi rialzata e di essermi persa nell'immensità del deserto, di aver avuto la forza di svoltare anche quando non vedevo una meta, ma sapevo che forse c'era.
Il deserto è troppo grande per non avere stazioni d'arrivo.

Ho iniziato a sperare, a perdermi, a seguire le mie orme inizialmente suggerite dal vento, sospinte dalla sabbia.
E' stata dura, il primo pensiero è stato quello di essere spaesata, di non tornare, di perdere tutto:

"Sabbia ovunque, vento, miraggi: ci sarà qualcosa di vero?"

Così pensavo, ma nel frattempo ho avuto il coraggio di proseguire, per la prima volta ho avuto fede; una fede strana, fatta di realtà e di incognite. Per la prima volta ho imparato a dirmi "non lo so". Perché anche la vita è grande, possiamo guardare l'orizzonte, ma non sappiamo cosa nasconde, a volte sembra tutto così chiaro, a volte offuscato, non sappiamo perché non possiamo sapere, l'unico mezzo di conoscenza è continuare a camminare, quando nessuno sa qual è la direzione giusta, nemmeno noi stessi.

Per questo sono felice, felice di aver iniziato a far ciò che mi rende realmente felice.
Sono felice perché sono triste, perché non esiste tristezza senza felicità.
La felicità è un fiore di un colore indecifrabile; è felice solo chi è disposto ad esserlo, chi rischia, chi non calcola, chi nemmeno pensa. E' una rosa di un colore strano, ma di un profumo divino... una volta imparata a conoscere non importa in quale giardino sia, si è in grado di riconoscerla tra mille altri fiori, ma bisogna accettarne l'assenza, un'assenza che fa male.
Fa male quando ripensi al suo profumo, alla tenerezza dei petali, la delicatezza della corolla, la sensazione data dai suoi caldi colori... fa male quando affacciandoti sul cortile noti la sua assenza e non te la spieghi. Una rosa così bella non c'è più.
Ancora più male fa non riuscire a vederla, scambiarla per altri fiori di campagna, con tutta la dignità che li contraddistingue. Triste non è colui che non la vede più, ma chi non ha voluto vederla per paura di notare la sua assenza, chi non ha scalato le montagne per cercarla, chi non si è ascoltato, perché forse in fondo la felicità è molti fiori, ognuno singolo e destinato ad un'unica persona su questa terra.
O forse mi sbaglio.
Nel mio giardino quel fiore non lo so più trovare... ogni mattina mi affaccio, ogni mattina un diverso abbaglio, poi la realtà: non c'è. Eppure sento la sua presenza, la percepisco, come se irrazionalmente sperassi in una sua materializzazione nel vaso più bello, là meticolosamente preparato per lui. Forse felicità è anche continuare a sentire, nonostante l'assenza, che quel fiore esiste. Forse l'errore è identificarlo con qualcosa di concreto. Ma sì, a volte basta anche il pensiero...

Perdonami

Perdonami perché io ricordo.

Ricordo il male, in tutte le sue sfumature.
Il male che ho sofferto sul mio letto, quando non arrivavi, il male che ho sofferto sul mio letto quando te ne andavi
ed era tardi.
Quello patito quando non chiamavi, quando dubitavi, quando partivi
ed eri lontano... da me, da noi.

Ricordo la sofferenza racchiusa in quelle quattro mura quando non c'eri, quando nemmeno la luna poteva allietarmi con il suo raggio candido e catartico da quell'avvolgibile lasciato inspiegabilmente aperto, quasi a trovare rassicurazione nel mondo esterno, nelle stelle, nelle nubi, nel fiume che scorre dinanzi al terrazzo e nel buio profondo che avvolge l'argine dove correvo libera nella mia infanzia.

Ricordo tutto quanto.

E perdonami perché nemmeno scordo...
non scordo chi c'è stato, quelle parole su Ponte Vecchio, quelle domeniche a consolarci, a trovare vie e percorsi alternativi, le prime risate dopo il buio, i primi pensieri profondi confidati, le prime preoccupazioni, i primi progetti, i primi pensieri al di là di te: il primo appoggio che tuttora conservo.

Non scordo quelle rare telefonate, di quelle vere, di quelle di chi c'è e ci vuole essere, quei consigli preziosi, quel cercare di non essere lontano, nonostante i propri problemi, quel tutto racchiuso in qualche lunga email, quelle dritte verso una vita più tranquilla, più serena e tutta quella saggezza compresa in ritardo.

Non scordo nemmeno quella mano che mi ha rialzato e che ha stretto la mia donandomi nuovamente fiducia in me stessa, che mi ha fatto apprezzare la persona che sono, che l'ha fatta uscire di nuovo dalla gabbia permettendomi di vederla in pieno ed amarla abbattendo ogni limite immaginario creduto reale.

Perdonami perché ricordo il male ed anche perché non scordo il bene di chi c'è stato quando tu non c'eri, quando mi lasciavi nel buio di quella notte lunga ed annichilente.

Il sole splende e non riesco a chiudere gli occhi, perdonami.

lunedì 25 aprile 2011

Troppi

Troppi pensieri da mettere bianco su grigio...

Tic

Il tempo ci inganna. Effimero propagandatore di attimi fuggiti, treni passati, ricordi ancora vividi. Tutto rimane così impresso nell'anima. Le sue lancette ci riportano indietro a quando tutto ancora era diverso: un'ora, un minuto, un anno. Così ci ritroviamo a pensare a routine ripetute, allora uguali, adesso incoerentemente estranee.

"L'ultima volta che sono uscita da lavoro stavo ancora con lui"
"L'ultimo Natale eravamo ancora tutti uniti"


A chi non è capitato?
Non è il mio caso; niente uscite da lavoro, niente Natali trascorsi insieme, ma il concetto è chiaro.
Succede a volte di riflettere su come tutto possa cambiare ed a come quel tutto si leghi inevitabilmente ad un qualcosa di stoicamente statico: il tempo.

Ore 17.00: avevo ancora una speranza.
Ore 18.00: tutto finito.

E così via.
Quando quella lancetta segnava il pieno non sapevo che saresti tornato.

Il tempo, quando non percepito, ci da' la vana illusione che tutto sia nato per durare.
Quando percepiamo il suo passaggio capiamo invece che tutto può cambiare e nel modo più inaspettato; le nostre certezze svaniscono, altre si costruiscono, le routine scompaiono, la vita si evolve.
La verità è che noi cambiamo, come è vero che in fondo rimaniamo sempre gli stessi, ed il tempo non è che un mero ed ingannevole scanditore di momenti passati, di foglie sovrapposte in questa tempesta di vento.
Ma ogni tanto l'occhio cade su quella lancetta ed il pensiero ritorna, la malinconia sale.

Vivere fuori dal tempo, fuggire il lusinghiero inganno dei ricordi, capire che la vita è troppo imprevedibile per poter fare programmi...
per contraddizione anche tutto ciò richiede tempo e talvolta rimane un sogno...

Tac

venerdì 22 aprile 2011

Viaggio

E vago, vago nel deserto, ma con polso più fermo. Alla monotonia ci si abitua sempre. Semplice, lineare, chiara. Si va avanti. A volte per inerzia, a volte con cognizione del viaggio, come se da qualche parte ci fosse una meta.
Follia o speranza? Come in una strada a senso unico la seconda conduce alla prima, ma la prima blocca la via verso la seconda. Perché in ogni speranza c'è un po' di follia, ma quando giungi alla follia è difficile poter arrivare alla speranza. Come nella vita, anche questa appartiene alle strade da imboccare nel giusto senso.
Spesso sperare ci fa iniziare il viaggio, ma bisogna esser folli per proseguirlo quando al nostro cospetto si estende solo l'abituale e sconcludente orizzonte, quasi fine a sé stesso. Ma cosa giustifica realmente il viaggio? La meta? E cosa giustifica la meta? Forse il viaggio?
Che gioia provano coloro che ad ogni passo si voltano a domandarsene il senso? E come soffre chi sente il bisogno di giustificare le proprie azioni?

La vita è così lunatica ed incostante; dove finiremmo se alla fine dei nostri passi ci voltassimo a chiederci "a cosa è servito?".
"Niente" sarebbe la risposta esatta. Forse non è il fine a giustificare i mezzi, ma i mezzi a giustificare il fine stesso. Muovere ogni passo nella direzione desiderata, pregustarsi l'arrivo ed allo stesso tempo godersi il panorama, sperimentare ogni sentiero di montagna, viottolo di campagna, sterrato di periferia, duna del deserto...

"ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane

per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare"

martedì 19 aprile 2011

Stagioni

Se arrivasse l'inverno, se l'albero che si erge rigoglioso davanti alla mia finestra iniziasse a perdere le foglie: una ad una. Io forse tornerei da te. Proverei ancora un attimo ad indugiare qualche passo nella tua direzione.
Se tutto si facesse più grigio, il cielo più scuro, il vento più freddo... mi volterei a vedere un riflesso di colore sul tuo volto.

Perché è finita così? Perché tutto intorno a me inizia ad essere così bello da offuscare il nostro fiore?
Perchè la vita è così ingiusta... un fiore nel cemento cresce forte conscio delle crepe nell'asfalto che ha dovuto insinuare. Un fiore nell'asfalto ispira forza, coraggio e perseveranza. Splendente e pallido allo stesso tempo concentra la luce sui suoi petali e rimane immobile, quasi idolatrato dai passanti incanutiti dal tempo.

Lo stesso fiore, nel mezzo alla primavera, scompare.
Flebile, labile, vacuo, fioco. Nel suo pallore fagocita la sua stessa essenza. Si sfuma, si inabissa ed infine svanisce inconsapevole della sua intrinseca importanza.

Così mi volterei, tornerei, ti guarderei. Ma il ciliegio è rigoglioso ed in fiore, il cielo risplende terso, tiepido, diamantino ed il vento primaverile mi tende la mano in questo splendore di colori,

ed a volte si sta come sulla spiaggia dinanzi al tramonto...

domenica 17 aprile 2011

Uguale

Dritto. Sempre uguale, scorrevole, continuo. Non so piu' dove andare a sbattere la testa. Continuo a camminare con passo lento, stabile, uguale. Non so dove sto vagando, ho abbandonato quella strada verso di te.
Cosa sento qua nel deserto?
Non c'è niente. C'è il tuo eco lontano che chiama, c'è la tua richiesta di riavvicinarmi a quella strada, ma non so se posso. L'illusione delle oasi all'orizzonte, quel riflesso trasognato e lucente che mi fa intravedere specchi d'acqua, mi spinge a continuare tra la sabbia. E intanto il tempo passa.
Passa il deserto sempre uguale, passano gli avvallamenti, si susseguono le dune. E' tutto un sali scendi, è tutto come la vita. Qui intorno non c'è nessuno. Il cielo è l'unico a cambiare ancora colore. Ogni tanto qualche uccello mi allieta il panorama donando qualche nota di variazione.
Sempre e solo sabbia. Ma dove sto andando? Ogni duna alla quale sopraggiungo mostra lo stesso panorama. Non c'è via d'uscita. Non ci sono altre strade. A volte penso di dover tornare indietro e riprovare a correre, giusto per arrivare da qualche parte, perché la paura più grande al momento è quella di non arrivare. Perdersi totalmente nel deserto, abbeverarsi raramente in qualche oasi per poi passare oltre verso altri miraggi.
Ci sarà mai una realtà? Ci sarà mai acqua per l'assetato nel deserto? Perché quando vuoi veramente qualcosa ed improvvisamente lo trovi in realtà non sai mai quanta parte di esso sia fantasia. Come per la paura.
Quanta parte di questa vita è reale?
Non sarà che viviamo più volentieri nel sogno? Trovare qualcosa oltre te, una nuova strada, un nuovo sentierino che pian piano si trasformi in un fiume in piena che mi travolga e mi porti via con sé. Delle acque in cui nuotare ed essere cullata, anziché dover correre dopo aver perso le forze.
Non so cosa dovrei fare, non so proprio dove andare.
Ci sarà una strada? Non ci sarà? Un misero viottolo? O vagherò per sempre nel vuoto?
Sto perdendo quell'unica possibilità di costruire qualcosa o sto lasciando spazio ad un'altra? Troppi interrogativi.
In realtà ben poco conta il domani quando non si sa con certezza cosa si vuole l'oggi. Potrei voltarmi e tornare indietro, ma sarebbe da codardi. Potrei al contrario sciogliere queste catene che mi trattengono il passo e vedere dove tenderei a correre. Verso l'orizzonte dunoso o verso quella vecchia strada lacerata dai miei passi? Ci sono legami che devono essere sciolti per avere l'opportunità di essere saldati. Temo di dover sciogliere le nostre catene ormai arrugginite. Temo di non saper cosa voglio oggi. Temo, di conseguenza, il domani.

mercoledì 13 aprile 2011

Il punto

Punto. E' sempre difficile metterne uno. Così piccolo, perfetto nella sua sfericità, conclusivo. Eppure ogni giorno fatichiamo ad apporlo. Fatichiamo a gettare via i ricordi, a cancellare un numero da una pagina stropicciata, a fare i bagagli e partire...

Punto.

Forse abbiamo paura di sbagliare o più semplicemente il "mai più" ci spaventa rendendoci tutti dei miseri codardi. In fondo anche la morte stessa non è che il mai più per eccezione.
A volte lo si desidera, ma è sempre un'attrazione macabra, o una sorta di lavaggio di mani alla Ponzio Pilato.

Punto. E ora vedetevela voi.

Difficile è quando il punto non è nessuna tra le suddette, ma la giusta conclusione di qualcosa che ha già avuto una fine, solamente non ancora confermata. Come se il mondo avesse ancora bisogno della parola dell'ultimo essere vivente prima di smettere di girare.

"Punto". Tutti morti, tutti andati.

Così ci troviamo giustizieri del nostro passato, esecutori di qualcuno già morto, falsi e ipocriti lavatori di vetri rotti, macellai di carne avariata. Qual è il punto di arrivo di questo meccanico definizionismo? Forse il sogno  continuo, l'illusione perenne. Forse vogliamo sentirci padroni degli eventi, come se essi dipendessero realmente da noi, da ciò che siamo ed abbiamo costruito. Ma non è così: l'ambiguità causale contraddistingue il flusso degli eventi. Non siamo che puntini sbatacchiati dalla corrente. Eppure abbiamo bisogno di dirlo, per togliere ogni dubbio, conferire certezze ad un futuro incerto e volubile che si autodefinisce

Punto.

lunedì 11 aprile 2011

Lasciami

lasciami vivere, lasciami stare, lasciami andare. Non ti pare abbastanza questa sofferenza? E la rabbia che non si placa, per qualcosa che poteva essere ma non è stato. Eravamo così felici in quell'agosto ormai troppo lontano... abbiamo distrutto tutto, siamo giunti a puntarci il coltello alla gola. Reciprocamente ci laceriamo la pelle per traslare il nostro dolore sull'altra persona, artefice del lutto di un amore. Non siamo più niente, forse lo siamo stati.

Lasciami vivere senza questa ansia nel cuore. Lasciami vivere accanto a qualcuno che mi ami senza pensieri, senza attriti lontani. Lasciami amare da me stessa che tutto perdona, tutto tralascia. Lasciami solo a chi veramente mi vuole, a questa ninfea solitaria in questo stagno di vita.
Lascia che io sia trasportata dalla corrente, portata via lontano dove nessuno può più vedermi. Lasciami da sola in quest'oasi di pace solitaria. Niente è più dolce e amaro di questa solitudine.

E tieniti le tue colpe, tieniti ogni singola cicatrice che ho lasciato sul tuo volto, tieniti il ricordo del mio essere immondo così indegno di un amore. Ho sbagliato sin dall'inizio. Troppi ricordi ci tenevano assieme, ma erano i ricordi sbagliati.
Non ci sono svincoli, solo una strada lunga e stretta, all'interno della quale non possiamo invertire marcia. Mi hai fatto male, mi hai ferito. Non c'è spazio per un'inversione. Non si torna indietro. Abbiamo rovinato tutto con le nostre mani. Tu, con la tua indecisione, io, con il mio amore per me stessa. Quante cose vorrei dirti, eppure mi fermo per rispetto, per non farti veramente male.
Ma cosa mi hai dato? Tanto e niente allo stesso tempo. Adesso fuggo questo tempo non scandito dall'eco del ticchettio di un orologio ormai fermo. Il tempo è stato. Il tempo si è fermato. Il nostro tempo è finito. Ci aggiriamo con furia nel limbo dei defunti, sbattuti dalla passione dantesca delle cose che furono e che trasportarono due amanti all'inferno. La fine di un amore è sempre un inferno o un pacato paradiso. Non avrei mai pensato, non avrei mai desiderato niente di tutto questo. Intanto mi domando come trovare la forza per dormire, accanto me stessa, dentro me stessa, cullata da questo freddo dolore che mi lacera ogni singolo organo vitale. Stasera sto male.

Altrove

Vorrei essere altrove, dove le onde non fanno rumore, accanto a chi non può farmi più male. In un luogo di pace, dove non posso ferire, né essere ferita. L'eterna pena a cui ci siamo condannati è dura da scontare. Questo gioco di scontri tra colpe e risentimenti fa più rumore di un tuono.
Con l'amarezza in cuore cerco il silenzio... ho bisogno di silenzio.

domenica 10 aprile 2011

Penso

E se l'acqua restasse acqua ed il cielo rimanesse cielo... cosa cambierebbe a me su questa terra?

E se anche non potessi grattar via le stelle dalla notte, scucire le trame delle montagne o perdermi nella vertigine dei fiumi... chi mi toglierebbe quel che sono?

Tra la spavalderia del ciliegio che fiorisce ad ogni stagione con la noncurante puntulità del tempo, acre e magnanimo sollevatore di pene, e l'indifferenza del volo degli uccelli  in schiere geometriche e regolari...  chi mai cambierebbe le carte in tavola?

Persa in questo giardino di pruni e fiori di seta, penso.
Penso che in questa disarmonica asincronia niente debba cambiare affinché l'uomo realizzi sé stesso.

The way

Mi soffermo e mi domando se essa sia più una strada od il modo di percorrerla...
Interrogativo ancora senza risposta.

Living

Continuare a scrutare l'orizzonte, guardare oltre un film già visto, persistere a leggere pagine di un libro cercando di vederne il significato recondito.
Ci stiamo perdendo qualcosa?

E quando le strade cambiano e le persone passano...
Le strade rimangono strade, le persone pur sempre persone:
Il senso va ricercato a fondo

ed io non riesco a smettere di leggere...

venerdì 8 aprile 2011

Animal instinct

E lo sento ancora, di tanto in tanto, in qualche canzone, faccia, espressione del viso, parola sussurrata di sfuggita tra molte altre prive di senso.
Lo sento ancora, quell'unico stimolo di vita che riesce ad animare e rendere pienamente viva la persona che sono diventata.
Non sono che un mastino a cuccia rifugiatosi dentro una gabbia dalla quale non si decide ad uscire, benché la serratura sia fragile. Basterebbe un balzo, una bella zampata al cancello sotto l'effetto di una forza di volontà più grande di ogni cosa, che da sempre mi ha contraddistinto. L'istinto mi porterebbe poi lontano, fiuterei la via ed inizierei a correre, addentare quei valori che ho abbandonato, senza i quali non vivo. Voglio dare tutto, ho bisogno di dare tutto, in tutto.

Cancer

Ansia, il mio essere che si agita e urla, "fa che sia un sogno, fa che sia un sogno!".
"No è tutto vero, sono stata veramente dal dottore, è successo davvero" Rispondeva il mio subonscio di riflesso.
Una lotta tra l'io ed io super io si è scatenata stanotte. Uno voleva uscire dal sogno, l'altro continuava a forzarcelo dentro con la rabbia di colui che di fretta tenta di chiudere una valigia prima della partenza.
Cancro. Mi avevano trovato il cancro. Perché? A prescindere dal fatto che non è normale fare questi sogni ma perché proprio il cancro e non una qualsiasi altra malattia mortale? Forse non dovrei, ma ci rifletto.
Il cancro ti mangia dall'interno, ce l'hai dentro e non lo vedi, è il tuo corpo che ti annienta da dove non puoi fermarlo. Come se tutto ad un tratto stessi cercando di dirmi "l'unico modo per salvarti è annientarti". E probabilmente è così davvero.
Tanto per dirla alla Gaber:

"Forse è più facile vivere con gli assassini fuori, visibili, riconoscibili, che ti sparano addosso dalle strade, dalle cattedrali, dalle finestre delle caserme, dai palazzi reali, dai balconi col tricolore.
Assassini che in qualche modo puoi combattere, sai cosa fanno, li vedi e prima o poi si possono ammazzare.
Assassini vecchi, superati, cialtroni che non sono mai riusciti a cambiare nessuno, a cambiarlo dal di dentro. Prevedibili e schematici anche nella cattiveria, come le bestie bionde, come le bestie nere che ti possono togliere la libertà, mai le tue idee, come quegli ingenui e patetici esemplari che esistono ancora oggi, ma non contano, sono un diversivo, un fatto di folklore, una mazurka.
Ma l'assassino dentro è come un'iniezione, non la puoi fermare e non risparmia nessuno, nessuno sfugge alla scadenza."

Ma ciò che più mi spaventava era la serie di avvenimenti scatenatasi dopo la terribile notizia. "Non si può fare più niente, le metastasi sono ovunque"
"Dai non ti preoccupare, avrai ancora un buon annetto"
"Ah, mi dispiace"
Solo una persona piangeva, ed eri tu.
Ti chiamavo, ti mostravo la lastra, hai capito tutto ed all'istante.
"No, no, no..." Dicevi dispiaciuto ed eri l'unico.

Nel frattempo strani intrecci di eventi prendevano campo. E' divertente pensare quanto il sogno abbia rispecchiato la realtà. La soluzione era la stessa, quella che ho sempre adoperato: prendere e partire. Così mi ritrovavo ad Amsterdam, nell'indifferenza generale. Il pensiero che la gente mi sia indifferente quasi mi allieta, facendomi percepire la (insostenibile) leggerezza di questo mio essere. Tutto ruota, tutto continua a ruotare, con o senza di noi. Così, mentre pensavo al fatto che non sarei mai potuta invecchiare, che non avrei mai raggiunto i miei obiettivi, che avevo perso il senso di ogni cosa, mi sono svegliata, in preda al panico.

Conclusione numero 1:
Per essere felici il senso delle cose va trovato nel presente, non in un futuro alquanto altalenante.

Conclusione numero 2:
Mi sono sentita in colpa verso di te. Sto iniziando a pensare di esser stata troppo dura nei miei sentimenti, nelle mie reazioni, pensieri, comportamenti. In fondo devo ammattere che ci tieni... e, malgrado tutto, è una cosa rara.

giovedì 7 aprile 2011

Finita


Sono qui, con me stessa, con le mie parole. Una volta passato lo shock a caldo, sempre più facile da superare, mi ritrovo sola. Immobile, sguardo perso nel vuoto, rigida come un corpo morto. E’ freddo, ma non riesco  a muovermi. 
Continuo a fissare il vuoto in una completa assenza di pensieri. Un’apocalisse dell’anima dopo la distruzione. Sei stato il mio attila, sei passato e non è rimasto nemmeno un filo d’erba. E’ come se non fossi nel luogo dove mi trovo, come se tra me e la stanza ci fosse uno smisurato campo magnetico e dentro di me un enorme buco nero che tutto risucchia. Il nulla, in questo momento sono il nulla. Sono un vuoto totale, l’assenza di sensazioni, il panico paralizzante, come dopo un incidente stradale od il morso di un serpente velenoso. Stasera mi hai tolto ogni briciolo di vita. Non riesco a muovermi. In un attimo hai cancellato tutto quel che poteva essere. Sto male se ripenso a ciò che è avvenuto, mi hai dipinto come un mostro che merita di star solo. Tu eri lì, la tua faccia sparava sentenze contro la mia, parole talmente orribili che mai e poi mai avevo ricevuto nella mia vita e mai credo che riceverò. Io ti ho dato tutto. Non voglio darti più niente. Hai cancellato ogni traccia di noi, adesso so come mi vedi ed io ho bisogno di altro. Ho bisogno di essere apprezzata per quel che sono, sono stata e sarò. Tu non hai apprezzato niente di tutto questo, sono stata un continuo oggetto di critica, a partire dal passato, fino al presente. Non hai mai amato niente di me fino in fondo. Ho bisogno di essere amata, apprezzata, voluta, desiderata ed allo stesso tempo ho bisogno di qualcuno da amare, desiderare, volere, qualcuno con cui sentirmi a casa, accettata. Non voglio più sentirti, sparisci. Sono stata un’illusa a pensare di correre verso di te, non ti ho perdonato niente, nessuno in vita mia si era mai permesso di farmi stare così. Sparisci. Cosa sono adesso le parole dette? So di poter essere felice, voglio essere felice, ma con te non posso esserlo, mi hai ferito a morte. La parte che viveva con te se ne è andata. Corrimi dietro, voltami con le tue mani, aggrappati ai miei capelli mentre cammino imperturbabile. Non mi volterò, correrò via, verso l’orizzonte. Batterò ogni misero centimetro di questo deserto, passerò ad abbeverarmi ad ogni oasi, o piuttosto morirò di sete, ma non tornerò da te. Quella strada si è rivelata piena di pruni, fantasmi del passato e mostri del presente. Merito assai di più, posso dare assai di più. Sparisci dalla mia vista! Meglio morire correndo da soli verso un orizzonte piuttosto che vivere correndo verso di te. 

Come può una persona che dice di amarti farti così tanto male? Trattarti in questo modo? Tu non mi hai mai amato. Forse un mese, forse due, sicuramente non adesso. Voglio che tu sparisca. 
Il concetto è chiaro. Basta. 
Merito qualcuno che mi veda dentro, merito di più. Adesso vorrei solo che tutto questo sparisse. Vorrei poter prendere una pillola e dormire profondamente, perché temo sia l’unico modo per farlo. La tristezza che mi hai lasciato dentro è immensa. 
Vorrei svenire al tocco gentile con la superficie del letto e sprofondare laddove non esiste più niente se non lusinghieri pensieri di leggerezza. Oppure vorrei qualcuno accanto a cui avvicinarmi in preda a questo vuoto, qualcuno a cui avvolgermi mentre dormo, per non sentirmi così sola come mi hai lasciato, come quel famoso aratro…

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese”

mercoledì 6 aprile 2011

Riflettere

Correva l’anno 2008, più esattamente il mese di febbraio. Distrattamente ma con animo sofferente rileggo le mie parole scritte in qualche altro blog sparso nella rete. Quanto sono cambiata, eppure sono sempre la stessa. Parlo di instabilità, stabilità, dico qualcosa di vero: sono sempre stata io a fuggire. Così mi viene il dubbio di aver rovinato ancora una volta tutto per nient’altro che un problema legato alla mia persona, alle mie paure.
Possibile che sia solo un caso? Stessa vita, 3 anni fa, stessa storia. Sofferenze immani: io che seguo la persona amata come un segugio, molto più di quanto non abbia fatto adesso, lui che fugge. Due anni di tormenti, dopodiché lui si decide, ma io non ci sono più.
Possibile che la storia si ripeta davvero sotto forma di farsa? Occorre un gesto improvviso che spezzi questa catena. Non voglio vivere così, non posso farlo. Quel che adesso è importante è sapere quanto l’idea di non poter essere felice con lui sia reale e quanto sia, al contrario,legata alla contingenza. Prima di gettare al vento ogni possibilità di recupero dovrei ben riflettere ed è quel che farò, vivendo una vita solo mia, lontano da lui, lontano dalle sue sofferenze, ma lasciando echeggiare nella mia testa una possibilità di ritorno su quella strada abbandonata a metà percorso.

martedì 5 aprile 2011

Happiness

E su queste note di liberazione mi metto a pensare. Pensieri acuti e taglienti attraversano la mia mente, il mio corpo, fino a farmi sentire i brividi. E’ così triste pensare di abbandonarti al tuo destino. Fino ad oggi ho cercato di crederci, di sperarci a tutti i costi, anche di fronte all’impossibile. Sono le persone che cambiano la vita e tu per un po’ me l’hai cambiata. Ma ho bisogno di essere felice, di percorrere la mia way to happyness che mi accorgo essere diversa da quella verso di te. Ho bisogno di viaggiare, incontrare persone, sperare di nuovo, imparare a credere ancora, gettarmi nel mondo, attorcigliarmi tra i suoi mille tralicci ed uscirne fuori impregnata del suo odore. Ho bisogno di vivere al massimo, di trovare qualcuno con cui condividere questo sogno matto. Ho bisogno di impazzire. E con queste parole vorrei adesso andarmene dalla tua vita, te le lascerei sul tavolo mentre piano piano prendo la via delle scale, delle stesse scale che sognavo di poter fare con te tutti i giorni, una volta che le nostre vite si fossero unite nella loro quotidianità più disparata. Così me ne andrei, senza dirti niente, lasciandoti l’ultima parte di me: qualche parola scritta di fretta ma con meticolosa cura, atta a rappresentare l’ossimoro intrinseco nella mia figura fluttuante. Non puoi rendermi felice, così come non poteva farlo chi prima di te è stato a mio fianco. Chi lascia la vecchia strada per la nuova sa quel che perde ma non quel che trova mi dicono in tanti, eppure io voglio riniziare a sperare, a crederci davvero, a volare verso un destino eterogeno, fatto di persone e luoghi diversi. Voglio parlare con chi non mi capisce, così come con chi mi comprende a pieno. Voglio vedere ogni piccola sfumatura della gente, smerigliatura dei sensi. Voglio provare ogni sentimento, dal male al bene, purché se ne possa sempre fuggire. Voglio immergermi e risalire più ricca di prima. Credere prima di tutto in me stessa, nelle mie capacità di evolvermi, di unirmi e disgiungermi da ciò che sono e sono stata. Voglio essere una nuvola fumosa che attraversa il cielo senza mai fermarsi. Sento di aver perso le redini della vita, come se tutto ad un tratto mi fossero scivolate via dalle mani. L’unica cosa che mi sento adesso di fare è riprenderle ed iniziare a vivere, purtroppo senza di te.

X


Così mi ritrovo ancora una volta a casa, dinanzi a quel grande specchio che copre tutta la mia figura e ben oltre. Mi osservo. Capelli spettinati, raccolti in malo modo all’interno di uno stretto fiocco bianco e stropicciato. Faccia pulita, occhi stanchi. Guardo i miei vestiti, il mio abbigliamento frettoloso, forse un vano tentativo verso uno stile comodo e sportivo; ancora non riesco a realizzare quanto la comodità sia lontana dai miei canoni, dal mio vivere la vita e le giornate sempre troppo brevi. 
Avrei voluto davvero essere avvolta da un morbido panno leggero, adatto ad una sera primaverile come quella appena passata. 17 gradi: non male.  Mi guardo negli occhi mentre tolgo distrattamente la sciarpa fine dal mio collo, rimasto nudo dopo il rapido gesto. Chissà come sarebbe andata con te. In uno sguardo fugace dato a me stessa  fioriscono mille interrogativi; il languore dei miei occhi non pone risposta a quelle insistenti domande. In un baleno riesco a sentirmi tutt’una con la mia immagine riflessa, come un cane solitario che tenta di trovare conforto nello specchio di una pozzanghera. 

Guardo quella figura, lei mi guarda. 
Io domando, lei non risponde. 
Tutto è più facile quando ci vediamo da dentro, le domande scorrono veloci, i ragionamenti fioccano ed in un attimo trovi mille strade, mille possibili spiegazioni. Ma quanto ti guardi negli occhi la verità soprassiede ai ragionamenti, agli artificiosi perché. Non si tratta di una verità assoluta, ma della veridicità dei sentimenti, dei sensi. 
Come possiamo noi umani risponderci usando solo la mente se essa non è che la sintesi dei sensi che nel suo processare si scorda delle parti componitrici della somma? Quando i nostri occhi si incrociano mille verità sono rivelate: la menzogna svanisce. Come un mago a cui  nell'intento di un prestigio fuoriesca ogni singola carta truccata dal fasullo mazzo di inganni, noi rimaniamo immobili, con in mano nient’altro che le effettive possibili risposte. Niente giustificazioni, niente illusioni.

E io mi domando perché è lentamente finita, perche’ non sono stata in grado di resistere, perché quel minuscolo pensiero stia prendendo sempre più campo e sia sempre più costante. Abbiamo visto male sin dall’inizio o la sofferenza nel tempo ci ha inesorabilmente logorato? 
Ricordo ancora settembre, eravamo ancora così vivi, così noi, nonostante tutto. Ricordo un novembre nero ricco di temporali dove, pur tuttavia, eravamo noi a comandare la nave in tempesta. “Vira, reggi il timone, ammaina le vele”. Ce l’abbiamo messa veramente tutta per tornare a tempi tranquilli come il gennaio trascorso. Poi la lenta morte dell’anima. Tu lo paragonavi ad un cielo che si schiariva, ma io ero una persona che si perdeva nel mare della tua indecisione, nell’oceano dei miei perché. E nell’immobilità generale mi sono persa. Persa fino a non riuscire più a parlarti, a crederci, ma solo a sperare. 

Sono stati mesi difficili questi ultimi ed io non ce l’ho fatta. Mi trovo qui, a terra, stremata. Non ho più la forza di reagire ma solo quella di mettere in dubbio ogni passo. Mi sono rimessa in piedi dalla ormai stabile posa mantenuta lungo quella interminabile strada senza contorni, ma mi sono voltata. Ho visto il mondo in maniera oggettiva, poi una macchina mi ha travolto e mi sono svegliata nuovamente a terra, senza sapere più qual era il lato che stavo percorrendo. Tutto è così uguale, così sterminato! Nell’urto ho però ritrovato un po’ di me stessa; non so dove andare ma so di non poter correre verso di te, non più. Mi sono persa, mi hai persa. Non riesco a perdonare quel che fai, fosse pure in buona fede, come credo sia. 
Ho perso la volontà di correre, di spiegare le vele e partire in rotta verso il futuro con te. Questo pensiero mi attanaglia ogni volta che ti guardo o che ti sono vicina. Lentamente devo iniziare a camminare, varcare i confini di questa strada ed esplorare il deserto circostante. Non so dove voglio andare ma so dove non posso andare, così mi ritrovo a vagare, ancora una volta sola, ancora una volta triste, senza una meta, senza una speranza, come un’incognita che più che “trovare” deve essere trovata.

sabato 2 aprile 2011

Incontro


Tante volte mi chiedo: e se mi incontrassi? Come sarei? Mi riconoscerei in quella estranea figura dinanzi a me o lascerei scivolar via quell'incontro tra mille altri volti quotidiani di passanti?
Esiste un modo per riconoscersi? Riconoscersi in altre persone, riconoscersi in noi stessi. La prima cosa che deve essere indispensabile affinche' ciò accada è avere piena coscienza del nostro essere, puro, intonso e terso da macchie di passato o riflessi condizionati che ci offuscano la mente deviando parte della nostra vera identità, distogliendola, attorcigliandola, portandola lontano dalla sua essenza. Malgrado questa sia il passaggio più difficile, una volta conquistata questa ardua tappa, come sarei in grado di riconoscermi?
Mi piacerei? O sarei solo un'altra sbeffeggiante e vacua figura che parla per poter rilasciare spore di sé nell'aria circostante?
Basterebbe guardarmi? Non credo.
Eppure gli occhi dicono molto, tristi ed allo stesso tempo ancora aperti sul mondo, coscienti di quel che è stato, vagamente veggenti su quel che sarà, sempre in potenziale errore, come forse nel giusto.
Mi incontrerei su un autobus, nel mezzo ad una strada trafficata, in una biblioteca o chissà dove altro ancora.
Supponiamo di essere su un treno. Destinazione: lontano.
So perche' sono lì, per lo stesso motivo per cui Lei c'è. Vogliamo andarcene, scappare, essere intere ed intangibili lontano da tutto, sole con la nostra presenza a farci compagnia, i nostri pensieri, le nostre ambizioni e la nostra filosofia di vita così arcana, folle e misteriosa: fluttuante. Fluttuerebbe tra i sensi della gente, tra lo scopo di ogni persona, i destini della folla, troppo comune, troppo ordinaria, esageratamente sentimentale. Così prenderemmo un po' da ciascuno, senza mai permettere a nessuno di relegarci in un contenitore etichettato destinato ad impolverirsi, ad essere dimenticato poiché non esistendo già la sua natura è quella di non essere pensato e ciò che non viene pensato difficilmente può essere dimenticato. 
Prenderei un sedile vicino a lei; non troppo vicino, non troppo distante: è sempre bene non isolarsi del tutto dal resto del mondo: vicino per non dimenticarsi che si vive, lontano per poter vivere. La osserverei tra il velluto blu dei sedili rinnovati ed un prato verde stanco che le fa da sfondo a quel crine di capelli che invadono l'ampio finestrino, quasi per respirare l'aria esterna, pensando che possa essere più fresca, più pulita, come la salvezza.
Continua

Giuramento


Troppi pensieri, troppe sofferenze, troppe notti insonni e giorni martoriati. L’ennesimo giorno era giunto alla fine da appena mezzora quando qualcuno mi ha fatto notare quanto tutto questo mi rendesse infelice. Promesse non mantenute, fiori mai sbocciati, cieli mai visti ed ancora nascosti da uno spesso strato di nuvole color pioggia. Non volevo mollare, non volevo rinunciare al mio desiderio. Eravamo tanto.
Mi mancano quei momenti, quelli in cui eravamo felici ed eravamo solo io e te. Quando avevo la consapevolezza che mi avresti cercato, che il giorno stesso avresti fatto di tutto per presentarti nel nostro solito luogo alla nostra solita ora. Nessuno al mondo mi aveva mai dato così tanta certezza dei propri sentimenti. Improvvisamente mi sentii a casa. A casa dopo anni di buio creato da incomprensioni e maschere da mostrare, da indossare...
Troppe maschere tra loro diverse si erano impossessate della mia vita. Chi ero io in realtà? Sensazioni contrapposte mi spingevano da una parte all’altra del segmento della vita; un segmento tortuoso e movimentato che solo alcuni si degnano di guardare durante la percorrenza. In un attimo mi sono trovata con te ed in un attimo mi sono ritrovata senza di te, in una stanza scura dalla quale sognavo di poter uscire per riavere quel che per quei pochi mesi, ma intensamente vissuti, ho sperimentato.
I seguenti sono stati mesi strazianti in cui ho cercato di seguirti, di farmi seguire. Ricordo ancora pomeriggi con il cuore in gola e lo stomaco in subbuglio nell’attesa del tuo messaggio che tardava ad arrivare, proprio come adesso. Ci siamo persi.
Il tempo ci ha allontanato, eravamo molto, eravamo tutto, ma quel tutto ci stava lentamente uccidendo. La rabbia, le colpe, interminabili discussioni. Quando ci siamo ritrovati abbiamo visto una vita insieme, una vita che ci avrebbe reso felici. Ho voluto continuare a crederci, a sperarci, ma tu hai ragione: non ci credo più. Adesso non spero più. La consapevolezza di questo distacco fa male, come fa male l’idea di saperti con un’altra persona, ma al tempo spesso spero che tu riesca a tornarci. Ti faccio del male, lo vedo; mi fai del male, lo sai. Non sono la persona che credevi, quella che da 10 anni conosci, quella con cui hai già diviso un periodo passato della tua vita. Adesso è giusto che tu torni alla tua routine, che forse tanto routine non era. Forse la ami ancora, forse non ami più me, forse non amo più te. Troppe domande, nessuna risposta e tutto mi ricorda quel giuramento fatto con lo stomaco annodato dalla perenne confusione, dal frullatore che in ogni attimo e con gran fracasso macina e frulla i miei pensieri.
“Quando ti ho chiamato sono stata male”
Mi ha detto con voce sottile voltandosi verso la mia figura alla guida. Come era possibile? Come potevo averle causato del dolore? Proprio  a lei… a colei a cui ho tentato a tutti i costi di ridare la felicità perduta, sforzandomi persino ad andare contro me stessa, di trovare quell’ottimismo che nemmeno io vedevo. A volte non realizziamo che il nostro modo di essere, pensare, affrontare la vita si ripercuote molto più sugli altri che non su noi stessi. A volte non ci importa, a volte non ci viene detto e non ce ne accorgiamo. Eppure quelle persone sono tutto, perché ce le siamo scelte, perché continuiamo a tenerle accanto. Sto male se penso al dolore che ti ho causato, come soffro a pensare al dolore causato agli altri, a quelle pochissime persone che mi vedono come in realtà sono, senza maschere, senza finzioni. Ho promesso di cambiare. Me l’ha chiesto lei, con la sua felicità ritrovata. Erano le 00.30, un nuovo giorno, iniziato da appena mezzora scandiva la mia nuova vita, il mio tentativo di cambiamento, per quanto difficile possa essere dopo anni passati a pensare. “Prometto che penserò di meno, non farò piani nel lungo periodo, vedrò la mia vita positivamente”. Ne ero convinta. So che devo farlo, per gli altri e principalmente per me stessa, me lo devo. I mesi infernali stanno per finire o almeno così voglio sperare. Nell’ultimo periodo ho trovato tanto e per farlo ho dovuto solo aprire me stessa al mondo, nuovi panorami, nuove idee, nuove persone, persone vecchie viste con occhi nuovi, occhi che non avevano mai guardato l’esterno prima. Nessuno ha avuto paura, nessuno si è allontanato. Sono finalmente vista per ciò che sono e questo non può che darmi la forza per andare avanti, in una nuova vita, iniziata alle 00.30 di questo giorno sfociato nel sole.