mercoledì 15 giugno 2011

Can a Martian marry a Terrestrian?

Are really differences what keeps us together, what prevents us from falling apart? Or are they meant to avoid our mutual understanding laying the foundations for an unavoidable separation? I'm not sure of that. I guess all we have to do is follow our feelings, they'll probably drive uS toward what we need, whether that is something more "like us" or not. I believe i couldn't be with someone who's exactly like me. He would tend to escape, to be untrustworthy, unreliable, so offish! I couldn't stand being next to someone like that. I myself tend to run away every single time that something goes wrong.
But still there's something about this guy... I've hardly ever spoken to him, but there's something that intrigues me, i can clearly see something of myself in his eyes... the way he talks, writes and his lifestyle... just like me he's also trying to escape from himself... to get lost, experiment life, understand people. His searching for his bliss in life's pleasures and in what this poor society of ours has to offer. He's a thinker, just like me. I'd want him to disappear from my life. This is just too tempting. It's like i have to see what's between us or why i'm so attracted to him. I hope I'll never find out.
What I'm really doing instead is spending my current time with someone who belongs to a different world, someone who's there 24/7, who believes in family values as well as in cinicism and social issues.
I think at some point there's something that counts more than chemistry: there's life. There's a rational part that has to take over us when we risk screwing up. There's sharing your time with someone who loves you almost more than himself, someone you can rely on when your chemistry is gone, or youth, or when you're going through a hard time.
That chemistry can't provide...
We should stop looking for the best and start looking for what's best for us.

Matter of love

I came to thinking that it's always a matter of love. But what sort of love are we talking about? Indeed we love people, but how do we love them? Are there many ways of loving someone or just one? After hours i came to a conclusion. I love him, I love him like I love someone I've spent all of my life with, but i'm not sure i love him like someone I want to spend the rest of my life with. This is a slight and essential difference. And how do we understand if the first kind of love can turn into the second one? When do you understand if the person you've spent all of your life with can also be the person you actually want to spend all of your years ahead with? Probably you shouldn't even doubt it or ask yourself anything about it. Maybe you just feel it. Maybe you get this vibe you couldn't spend it next to anyone else. I'm not sure which one is the right answer, I'm not even sure if there's a right answer.
Think about it.

domenica 5 giugno 2011

Guerra e Pace

Nel buio naturale di una giornata ingrigita penso. Forse sono le nubi che racchiudono i nostri pensieri evitando la normale dispersione che altrimenti avverrebbe. Mettiamo un tappo all’anima: niente stelle, niente azzurro, solo un tappo prossimo e grigio a racchiudere noi stessi su questo molle terriccio estivo.
Non è mai facile. E’ questo quel che penso mentre cerco ancora di riconnettere le parole al pensiero che, come fili di rame in un cavo elettrico, stentano a stare congiunti.
Non lo è mai. I sentimenti, la fedeltà, l’amicizia, l’amore. Niente di tutto questo è mai facile. Forse a volte si incorre nel pensiero che lo sia: “è finita: non c’era più amore”. Invece no, a volte finisce sulla base di un’errata concezione di esso. Ci si aspetta che tutto ci sia dovuto, in realtà niente lo è. Perverso lusso dei tempi moderni in cui raramente si deve ancora lottare per qualcosa. L’amore non è facile, è una guerra continua in cui ci si prende cura allo stesso tempo dell’avversario e dell’alleato. Un’incessante battaglia a suon di spade, tregue ed armistizi. Infinite trame di una pace perenne  e duratura. Amare non basta, non basta mai. A volte ci scordiamo di farlo e continuiamo per la nostra strada, abbandoniamo le redini del nostro cavallo e viaggiamo in cerca di un passaggio. Come dice quel film di quel geniale regista: amare è soffrire, ma anche non amare è soffrire. I sentimenti talvolta rimangono chiusi in una gabbia dalla quale vengono intimati a non uscire. E’ così che si fa e poi si svolta. Quanto a lungo rimarranno intrappolati? Forse non abbastanza. C’è sempre un elemento scatenante che libera le nostre repressioni: un’onda alta ed indomabile che ci stende a terra su un bagnasciuga non frequentato o semplicemente battuto dall’abitudine di esistere.
Pensavo fosse semplice, invece no. Lo testimoniano i tanti che affermano la loro voglia di girare pagina al sol pensiero di un evento passato. Di nuovo tentiamo di proteggerci, è quel che si fa per esistere, non certo per vivere. Eppure si cerca di guardare avanti, di esserci, di spingere anche quando l’altro crolla; di mostrarci incoerentemente sicuri, vicini, di supporto, anche quando è la cosa più lontana dal nostro essere del momento.
Non sono brava, non lo sono abbastanza. Fino ad adesso mi sono solo fatta sostenere, perché l’abbia continuato a fare è un mistero, o forse no. Chiusa nei miei problemi solo adesso comprendo che devono avere vita breve, devono rimanere confinati in me stessa, non posso più riversarli all’esterno, non sono più mutabili, sono dati, fissi e costanti, fortunatamente anche passati. C’è sempre qualcosa che va storto, così mi siedo, aspetto e poi continuo il cammino su quella strada in cui ora sto finalmente bene, in cui non sono arrivata ma ho qualcuno a fianco e non è detto che si debba arrivare. Forse non c’è un arrivo.
E davvero non capisco il “non vedo perché dovrei accontentarmi”. L’amore è troppo nobile per essere paragonato ad una monetina da gettare in aria. Non si lascia una strada dissestata per trovarne una più pianeggiante, non si sa mai, non lo si sa davvero. La strada non si abbandona fino a non aver battuto il terreno con tutte le nostre forze, ricalcando quelle zolle all’interno della terra a cui appartengono. Forse non sarà mai pianeggiante, ma sicuramente degna di essere percorsa, perché su questo cammino conta anche la fedeltà e finché c’è amore (di quello vero, non autoindotto) c’è un cammino. A volte non c’è anche se l’amore rimane, ma questa è un’altra storia in cui l’amore implode per amore stesso, affinché l’altro possa essere felice. A volte si spegne, si evolve, cambia e non in linea con noi stessi. Così ci ritroveremo con un amore antico nelle mani, privo di fiamme, sbagliato nel tempo, non alla sua origine. Forse è un bene mettere l’amore alla prova, giusto per capire quanto è resistente, quanto l’allontanarsi ci riavvicini. E io mi domando come dopo un anno travagliato pieno di battaglie, guerre e nessun armistizio, si possa giungere stremati alla pace, a pulire le macerie lasciate, lucidare i rottami e curarsi le ferite di guerra. Mi domando se quei ricordi atroci possano mai andare via, sparire dalla mia mente troppo giovane per questa battaglia. Eppure alla fine mi rispondo che se si è lottato così tanto, lo si è pur fatto per qualcosa. Per godere della pace, conquistare quella libertà e quel terreno che ci mancava, piantare le nostre bandiere e garantirci un futuro migliore. E come alla fine di ogni guerra si raccolgono i cimeli e si chiudono all’interno di un museo. Il passato è esistito affinché giungessimo al presente, le tracce rimangono stipate nel forziere della memoria. Portarle fuori è pura vanificazione della conquista. Fuori non rimane che la pace ed un futuro migliore, anche se a volte si commemora, affinché si sia consci del valore, non del disvalore dell’oggi.  

mercoledì 1 giugno 2011

Back on the road?

Si sente rumore. Un rumore che parla mille voci, ognuna delle quali dice un qualcosa di diverso, ma allo stesso tempo coerente.
Frasi estemporanee gettate all'aria di questa stanza come bollicine di ossigeno nel mare, perché forse è proprio questo quello che mancava intorno a me: ossigeno. Piena di anidride carbonica mi ostinavo ad ansimare nella luce offuscata di una lampada rovesciata su un comodino adiacente ad un letto lasciato sfatto e vuoto da troppo tempo. E addenti quel che puoi, dai quel che vuoi, fino a non dare più niente, fino a voler credere di non aver mai ricevuto niente. La rabbia è uno scudo, il dolore una necessità. A volte temo che un essere umano abbia più bisogno del dolore che non della felicità. Rassicurante il primo, lusinghiera e imprevedibile la seconda. La felicità richiede coraggio, la tristezza nella sua semplicità abbisogna solo di un animo indebolito, facile da trovare. Eppure c'è, c'è per chi la vuole, c'è perché il mondo è grande, c'è perché questa giostra finché siamo in piedi non smette di girare. Ad ogni giro un nuovo volto, una nuova opportunità ed alle volte si gira in due.
In questo luna park l'errore più grande è perdere sé stessi. La nostra assenza ci getta nelle braccia del caso, delle fortuità e ci toglie ogni capacità di sentire, osservare, tradurci ed interpretarci. Così giungiamo a perdere persino ciò che più di ogni altra cosa ci appartiene: le sensazioni. E spesso si sbaglia, si abbandona una strada, si tenta di mettere una transenna perenne a bloccare quell'unica via di ritorno. La verità è che la via del ritorno non è una sola e quando siamo fortunati è la via stessa a non abbandonarci, a pretendere un ritorno, persino contro la nostra volontà. Quanto sappiamo essere stupidi... pensare di non avere più niente per paura di perdere tutto, ritrovarsi con un nonnulla in tasca quando più di ogni altra cosa vorremmo riempirla. Ma eccomi di ritorno, tra sassolini, pietre, sabbia nelle scarpe, ma un orizzonte più chiaro e imminente.

martedì 17 maggio 2011

Parole

E cosa ci fa tutta questa gente intorno a me? "Fa la mia vita, fa la tua vita" Rispondeva qualcuno cantando ed è proprio vero. Esimersi dal giudicare può essere davvero arduo, ma con che sfacciataggine non lo si fa? Chi ci da' l'insano coraggio di interferire nelle vite altrui? Per quale motivo giudicare?
L'interesse è senz'altro l'ultimo di quelli plausibili. E allora vorrei essere su un'isola deserta, o ancora meglio in un mondo fatto di note di silenzio e di ombre in lontananza. Vorrei osservare, dalla posizione in cui siedo, ogni singola macchia scura che mi si aggira intorno, senza interloquirci, senza parole. Perché le parole sono inutili, superflue, false. Non esiste parola che sia sincera fino in fondo, tantomeno queste. Una volta lasciate andare riescono a fare più danni di qualsiasi marchingegno esplosivo. Le parole ci distolgono dai fatti, raramente ce li fanno notare. Le parole non sono espressione dell'anima, ma una mera putrefazione di essa, una sorta di insaccato di sensazioni diverse codificate nell'unico segnale riconoscibile. Ventuno lettere componibili in innumerevoli parole parti di innumerevoli combinazioni e non riusciamo a fare niente di meglio? Ciò che viene sentito raramente può esser declassato in una serie di suoni più o meno armonici, è troppo difficile. Al contrario emetterli è troppo facile. Al riguardo siamo come bestie rabbiose che abbaiano guaiti disconnessi e sgraziati. Ed il pensiero... non è altro che un bambino che cerca di comprendere le parole dei grandi... il pensiero ci inganna in buona fede, perché non capisce, le parole, al contrario, in malafede, perché pretendono un significato. Cercare di capire è inutile. Giudicare è inutile. Parlare anche. Vorrei solo togliere il volume, come se la realtà stesse nel silenzio, nell'irriproducibile quiete di un tempo che scorre tra le nostre inconsapevoli mani di bambini.

mercoledì 11 maggio 2011

Missing something

Mi sfugge qualcosa...

Strana sensazione

Riflettevo… e mi accorgo di non capire. Quando non si capisce qualcosa il modo migliore per decifrarlo è scrivere, o almeno penso.  Non si tratta di un puzzle da ricomporre, sarebbe troppo semplice avere già tutti i pezzi sul tavolo. No, qua si tratta di produrre un disegno complesso formato da tante linee continue e attorcigliate su sé stesse. Forse quel che si ottiene alla fine è un disegno, forse invece il segreto sta solo nel far combaciare le linee e godere di quel dipinto astratto che segna la via della nostra vita.
La mia linea è spezzata, non riesco a trovare quel pezzo… non riesco  disegnarlo; innanzitutto non so cosa dovrei tracciare: una curva? Una linea spezzata? Una retta? 

Perché tornare è così spaventoso? Anche solo l’idea mi terrorizza. Nel deserto in fondo si sta bene, si vaga di oasi in oasi, ci si abitua alla temperatura della sabbia rovente, agli sbalzi del sole che tramonta e risale e alle rare presenze che ci circondano. Tutto sembra così rassicurante. Si stabiliscono contatti con il cielo, si impara a riconoscere il volo degli uccelli, apparentemente uguale ma sempre diverso. Si guarda alle sfumature, notando enormi differenze in trame regolari e consuete.
L’assenza di una strada può dare un’idea di libertà difficile da abbandonare, o forse è l’idea di non doverci scontrare con i sassolini disseminati sull'asfalto dissestato ad attrarci e trattenerci nella sabbia?

lunedì 9 maggio 2011

Non bisognerebbe - F. Guccini

Non bisognerebbe mai ritornare:
perchè calcare i tuoi vecchi passi,
calciare gli stessi sassi,
su strade che ti han visto già a occhi bassi?
Non troverai quell' ombra che eri tu
e non avrai quell' ora in più
che hai dissipato e che ora cerchi;
si scioglierà impossibile il pensiero
a rimestare il falso e il vero
in improbabili universi.

Eppure come un cane che alza il muso e annusa l' aria
batti sempre la tua pista solitaria
e faccia dopo faccia e ancora traccia dopo traccia
torni dove niente ti aprirà le braccia...

E rimpiangere, rimpiangere mai.
Come piovigginano le vecchie cose:
perchè fra i libri schiacciare rose
di risa paghe e piene delle spose?
E buttar via un' incognita e uno scopo,
trascurare il giorno dopo
come se chiudesse sempre;
studiar la stessa pagina di storia
conosciuta già a memoria,
date e luoghi impressi a mente.

Ma gocciola da sempre sul bagnato, tesoriere dei tuoi giorni,
di chi ha preso e di chi ha dato.
E ora dopo ora e dopo un attimo ed ancora
la poetica consueta è "dell' allora"...

Primo, non ricordare,
perchè i ricordi sono falsati,
i metri e i cambi sono mutati
per la spietata legge dei mercati.
E' come equilibrarsi sugli specchi,
ad ogni occhiata un po' più vecchi,
opachi, muti e deformanti.
Frugare dentro ai soliti cassetti
dove non c'è quel che ci metti
e mai le cose più importanti.

E invece come tutti sempre lì a portarli addosso, a ricercare
quel sottile straccio rosso
che lega il tempo assente ed il presente e nella mente,
tutto questo poi ci si confonderà,
tutto questo poi ci si...

Non bisognerebbe mai ricordare...

Rabbia

Mi domando come puoi anche solo chiedermi di capirti e perdonarti. Tutto ciò è inammissibile, non capisci nemmeno lontanamente quel che ho dovuto passare, per te è tutto così semplice. I rancori non spariranno, inutile sperarci. Possono solo essere messi da parte...

Opening the cage

Penso che in fondo nessuno sappia mai realmente cosa fare.

"Cosa devo fare?"

Inutile quanto ripetitiva domanda che poniamo ogni giorno a noi stessi.
In qualsiasi campo, l'interrogativo che sovviene è sempre il solito.
Come stupidi bambini, con la colpa dell'ignoranza, ci fermiamo a pensare, ad articolare in parole concetti fatti di gas fumosi ed arzigogolati, come galassie.

Domanda - Risposta.

Non è questo ciò che ci hanno insegnato?
Ad ogni domanda corrisponde una risposta. E' sì vero, ma non sappiamo mai quanto la risposta possa essere davvero giusta.

A volte pensare è altrettanto stupido quanto tirare sassi nel mare, abitudine che almeno ci allieta il tempo, anziché straziarlo strappandocelo via inesorabilmente dalle mani.
Così scagliamo una pietra. Un gesto, nessun perché.

Pensare è inutile.
Sentire è vivere.


Le scelte vanno sentite, non pensate, non capite, tantomeno giudicate.
Eppure talvolta è proprio il nostro stesso giudizio a fermarci relegandoci in un mondo di scelte non fatte, di bellissimi volatili colorati tenuti in gabbia, perché troppo belli e troppo amati per essere lasciati andare, persino verso la libertà.

Solo quando riusciremo a perdere quella parte di noi stessi che tentiamo a tutti i costi di proteggere... forse solo allora riusciremo ad essere felici, a costo di perdere di vista quel pallino colorato che si libra verso l'orizzonte diffondendo i suoi meravigliosi colori nel cielo, verso l'ignoto, verso un volo forse sbagliato, ma certamente sospinto dalla natura.
Niente più gabbie, niente più colori, ma nemmeno amarezze. Non esiste niente di così bello da dover essere protetto a tutti i costi.
Tiriamo fuori la gemma preziosa dall'armadio, indossiamola tutti i giorni, con ogni tipo di abito. Il valore delle cose sta negli obiettivi che esse possono raggiungere, non nelle mere ed autoreferenziali caratteristiche intrinseche atte a prosciugarne ogni senso di esistenza.

Inutile pensare, vivere è sentire. Non esiste bellezza degna di protezione.

domenica 8 maggio 2011

Sentimenti contrastanti

Ogni volta sento che è sempre più difficile tornare su quella strada, quella sulla quale avrei voluto correre. Ogni tua parola, gesto, mi ricorda quanto io abbia sofferto, quanto tu mi abbia logorato in quei lunghissimi otto mesi. Il tuo comportamento attuale mi fa solo pensare di volermi perdere in questo deserto, dove non c'è niente, ma solo la speranza di una nuova strada.

Sensazione

Ho un mondo che mi trattiene per la mano
e non mi lascia andare...

domenica 1 maggio 2011

Mancanza

Qualcosa manca, lo si avverte durante il giorno, quando con una lontana determinazione mi destreggio tra i mille compiti usuali ed odierni.
Manca quando vado a letto e quando mi sveglio, e non penso.
Manca, ma di una mancanza discreta, quasi come se qualcuno di notte, mentre dormo, mi togliesse il cielo da sopra la testa, senza che me ne accorga.
Manca, della mancanza sottile degli abiti estivi, quando piove ed allora si attaccano alla pelle, formando uno strato unico e morbido al tatto.
Manca con la mancanza delle cose necessarie, talmente indispensabili da non essere notate nella loro assenza.
Manca il copione di questo spettacolo, il titolo a questo libro...
Manca.

Malinconia

Le sensazioni passate non sono quelle presenti.
Le sensazioni presenti non sono quelle future.
Ed in questa confusione mi manca ciò che era, manca perché non è, né sarà.
Quel che perso è andato.
Ci sono treni che ripassano, ma non sono più gli stessi. Cambiano le persone a bordo, ma soprattutto è il bagaglio che ci trasciniamo dietro a cambiare.
Noi, ignari viaggiatori in balia di un tabellone di arrivi e partenze ripetute.

Non sono più io, non siamo più noi, anche se tu sei lo stesso.
Nessuno può capire cosa voglia dire perdere un treno, sbagliare carrozza o aspettare quello dopo, che non si sa mai se arriva.
In questo intreccio di vite ci è dato solo godere degli istanti, degli infinitesimali frammenti.
E allora ci si può sdraiare a guardare le stelle e cercare di svelare l'arcana trama di questo romanzo di cui non potremo raccontare la fine.
Si può tentare di capire, si tenta, ma senza giungere a niente.
Le stelle son sempre tante, la loro disposizione è, seppur armonica, così casuale, quasi come se il destino si beffasse di noi e cercasse di farci trovare un senso dove non c'è, perché non ci può essere.

E allora scrutiamo, contiamo e quando non ne possiamo più ci mettiamo a giocare con quelle lucciole lontane cantando loro la nostra malinconia per momenti passati, non accorgendoci che anche loro stesse potrebbero già appartenere a ciò che fu. Ma, al pari di un ricordo, anch'esse trasmettono ancora la loro luce, affinché queste bestie lontane, quali noi siamo, possano continuare ad ingozzarsi di sogni irrealizzati in attimi illusori che la mente stenta a comprendere.

martedì 26 aprile 2011

Along the way

Ed in fondo sono felice mentre cammino. Sono felice adesso: qui ed ora. Sono felice di essermi rialzata e di essermi persa nell'immensità del deserto, di aver avuto la forza di svoltare anche quando non vedevo una meta, ma sapevo che forse c'era.
Il deserto è troppo grande per non avere stazioni d'arrivo.

Ho iniziato a sperare, a perdermi, a seguire le mie orme inizialmente suggerite dal vento, sospinte dalla sabbia.
E' stata dura, il primo pensiero è stato quello di essere spaesata, di non tornare, di perdere tutto:

"Sabbia ovunque, vento, miraggi: ci sarà qualcosa di vero?"

Così pensavo, ma nel frattempo ho avuto il coraggio di proseguire, per la prima volta ho avuto fede; una fede strana, fatta di realtà e di incognite. Per la prima volta ho imparato a dirmi "non lo so". Perché anche la vita è grande, possiamo guardare l'orizzonte, ma non sappiamo cosa nasconde, a volte sembra tutto così chiaro, a volte offuscato, non sappiamo perché non possiamo sapere, l'unico mezzo di conoscenza è continuare a camminare, quando nessuno sa qual è la direzione giusta, nemmeno noi stessi.

Per questo sono felice, felice di aver iniziato a far ciò che mi rende realmente felice.
Sono felice perché sono triste, perché non esiste tristezza senza felicità.
La felicità è un fiore di un colore indecifrabile; è felice solo chi è disposto ad esserlo, chi rischia, chi non calcola, chi nemmeno pensa. E' una rosa di un colore strano, ma di un profumo divino... una volta imparata a conoscere non importa in quale giardino sia, si è in grado di riconoscerla tra mille altri fiori, ma bisogna accettarne l'assenza, un'assenza che fa male.
Fa male quando ripensi al suo profumo, alla tenerezza dei petali, la delicatezza della corolla, la sensazione data dai suoi caldi colori... fa male quando affacciandoti sul cortile noti la sua assenza e non te la spieghi. Una rosa così bella non c'è più.
Ancora più male fa non riuscire a vederla, scambiarla per altri fiori di campagna, con tutta la dignità che li contraddistingue. Triste non è colui che non la vede più, ma chi non ha voluto vederla per paura di notare la sua assenza, chi non ha scalato le montagne per cercarla, chi non si è ascoltato, perché forse in fondo la felicità è molti fiori, ognuno singolo e destinato ad un'unica persona su questa terra.
O forse mi sbaglio.
Nel mio giardino quel fiore non lo so più trovare... ogni mattina mi affaccio, ogni mattina un diverso abbaglio, poi la realtà: non c'è. Eppure sento la sua presenza, la percepisco, come se irrazionalmente sperassi in una sua materializzazione nel vaso più bello, là meticolosamente preparato per lui. Forse felicità è anche continuare a sentire, nonostante l'assenza, che quel fiore esiste. Forse l'errore è identificarlo con qualcosa di concreto. Ma sì, a volte basta anche il pensiero...

Perdonami

Perdonami perché io ricordo.

Ricordo il male, in tutte le sue sfumature.
Il male che ho sofferto sul mio letto, quando non arrivavi, il male che ho sofferto sul mio letto quando te ne andavi
ed era tardi.
Quello patito quando non chiamavi, quando dubitavi, quando partivi
ed eri lontano... da me, da noi.

Ricordo la sofferenza racchiusa in quelle quattro mura quando non c'eri, quando nemmeno la luna poteva allietarmi con il suo raggio candido e catartico da quell'avvolgibile lasciato inspiegabilmente aperto, quasi a trovare rassicurazione nel mondo esterno, nelle stelle, nelle nubi, nel fiume che scorre dinanzi al terrazzo e nel buio profondo che avvolge l'argine dove correvo libera nella mia infanzia.

Ricordo tutto quanto.

E perdonami perché nemmeno scordo...
non scordo chi c'è stato, quelle parole su Ponte Vecchio, quelle domeniche a consolarci, a trovare vie e percorsi alternativi, le prime risate dopo il buio, i primi pensieri profondi confidati, le prime preoccupazioni, i primi progetti, i primi pensieri al di là di te: il primo appoggio che tuttora conservo.

Non scordo quelle rare telefonate, di quelle vere, di quelle di chi c'è e ci vuole essere, quei consigli preziosi, quel cercare di non essere lontano, nonostante i propri problemi, quel tutto racchiuso in qualche lunga email, quelle dritte verso una vita più tranquilla, più serena e tutta quella saggezza compresa in ritardo.

Non scordo nemmeno quella mano che mi ha rialzato e che ha stretto la mia donandomi nuovamente fiducia in me stessa, che mi ha fatto apprezzare la persona che sono, che l'ha fatta uscire di nuovo dalla gabbia permettendomi di vederla in pieno ed amarla abbattendo ogni limite immaginario creduto reale.

Perdonami perché ricordo il male ed anche perché non scordo il bene di chi c'è stato quando tu non c'eri, quando mi lasciavi nel buio di quella notte lunga ed annichilente.

Il sole splende e non riesco a chiudere gli occhi, perdonami.

lunedì 25 aprile 2011

Troppi

Troppi pensieri da mettere bianco su grigio...

Tic

Il tempo ci inganna. Effimero propagandatore di attimi fuggiti, treni passati, ricordi ancora vividi. Tutto rimane così impresso nell'anima. Le sue lancette ci riportano indietro a quando tutto ancora era diverso: un'ora, un minuto, un anno. Così ci ritroviamo a pensare a routine ripetute, allora uguali, adesso incoerentemente estranee.

"L'ultima volta che sono uscita da lavoro stavo ancora con lui"
"L'ultimo Natale eravamo ancora tutti uniti"


A chi non è capitato?
Non è il mio caso; niente uscite da lavoro, niente Natali trascorsi insieme, ma il concetto è chiaro.
Succede a volte di riflettere su come tutto possa cambiare ed a come quel tutto si leghi inevitabilmente ad un qualcosa di stoicamente statico: il tempo.

Ore 17.00: avevo ancora una speranza.
Ore 18.00: tutto finito.

E così via.
Quando quella lancetta segnava il pieno non sapevo che saresti tornato.

Il tempo, quando non percepito, ci da' la vana illusione che tutto sia nato per durare.
Quando percepiamo il suo passaggio capiamo invece che tutto può cambiare e nel modo più inaspettato; le nostre certezze svaniscono, altre si costruiscono, le routine scompaiono, la vita si evolve.
La verità è che noi cambiamo, come è vero che in fondo rimaniamo sempre gli stessi, ed il tempo non è che un mero ed ingannevole scanditore di momenti passati, di foglie sovrapposte in questa tempesta di vento.
Ma ogni tanto l'occhio cade su quella lancetta ed il pensiero ritorna, la malinconia sale.

Vivere fuori dal tempo, fuggire il lusinghiero inganno dei ricordi, capire che la vita è troppo imprevedibile per poter fare programmi...
per contraddizione anche tutto ciò richiede tempo e talvolta rimane un sogno...

Tac

venerdì 22 aprile 2011

Viaggio

E vago, vago nel deserto, ma con polso più fermo. Alla monotonia ci si abitua sempre. Semplice, lineare, chiara. Si va avanti. A volte per inerzia, a volte con cognizione del viaggio, come se da qualche parte ci fosse una meta.
Follia o speranza? Come in una strada a senso unico la seconda conduce alla prima, ma la prima blocca la via verso la seconda. Perché in ogni speranza c'è un po' di follia, ma quando giungi alla follia è difficile poter arrivare alla speranza. Come nella vita, anche questa appartiene alle strade da imboccare nel giusto senso.
Spesso sperare ci fa iniziare il viaggio, ma bisogna esser folli per proseguirlo quando al nostro cospetto si estende solo l'abituale e sconcludente orizzonte, quasi fine a sé stesso. Ma cosa giustifica realmente il viaggio? La meta? E cosa giustifica la meta? Forse il viaggio?
Che gioia provano coloro che ad ogni passo si voltano a domandarsene il senso? E come soffre chi sente il bisogno di giustificare le proprie azioni?

La vita è così lunatica ed incostante; dove finiremmo se alla fine dei nostri passi ci voltassimo a chiederci "a cosa è servito?".
"Niente" sarebbe la risposta esatta. Forse non è il fine a giustificare i mezzi, ma i mezzi a giustificare il fine stesso. Muovere ogni passo nella direzione desiderata, pregustarsi l'arrivo ed allo stesso tempo godersi il panorama, sperimentare ogni sentiero di montagna, viottolo di campagna, sterrato di periferia, duna del deserto...

"ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane

per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare"

martedì 19 aprile 2011

Stagioni

Se arrivasse l'inverno, se l'albero che si erge rigoglioso davanti alla mia finestra iniziasse a perdere le foglie: una ad una. Io forse tornerei da te. Proverei ancora un attimo ad indugiare qualche passo nella tua direzione.
Se tutto si facesse più grigio, il cielo più scuro, il vento più freddo... mi volterei a vedere un riflesso di colore sul tuo volto.

Perché è finita così? Perché tutto intorno a me inizia ad essere così bello da offuscare il nostro fiore?
Perchè la vita è così ingiusta... un fiore nel cemento cresce forte conscio delle crepe nell'asfalto che ha dovuto insinuare. Un fiore nell'asfalto ispira forza, coraggio e perseveranza. Splendente e pallido allo stesso tempo concentra la luce sui suoi petali e rimane immobile, quasi idolatrato dai passanti incanutiti dal tempo.

Lo stesso fiore, nel mezzo alla primavera, scompare.
Flebile, labile, vacuo, fioco. Nel suo pallore fagocita la sua stessa essenza. Si sfuma, si inabissa ed infine svanisce inconsapevole della sua intrinseca importanza.

Così mi volterei, tornerei, ti guarderei. Ma il ciliegio è rigoglioso ed in fiore, il cielo risplende terso, tiepido, diamantino ed il vento primaverile mi tende la mano in questo splendore di colori,

ed a volte si sta come sulla spiaggia dinanzi al tramonto...

domenica 17 aprile 2011

Uguale

Dritto. Sempre uguale, scorrevole, continuo. Non so piu' dove andare a sbattere la testa. Continuo a camminare con passo lento, stabile, uguale. Non so dove sto vagando, ho abbandonato quella strada verso di te.
Cosa sento qua nel deserto?
Non c'è niente. C'è il tuo eco lontano che chiama, c'è la tua richiesta di riavvicinarmi a quella strada, ma non so se posso. L'illusione delle oasi all'orizzonte, quel riflesso trasognato e lucente che mi fa intravedere specchi d'acqua, mi spinge a continuare tra la sabbia. E intanto il tempo passa.
Passa il deserto sempre uguale, passano gli avvallamenti, si susseguono le dune. E' tutto un sali scendi, è tutto come la vita. Qui intorno non c'è nessuno. Il cielo è l'unico a cambiare ancora colore. Ogni tanto qualche uccello mi allieta il panorama donando qualche nota di variazione.
Sempre e solo sabbia. Ma dove sto andando? Ogni duna alla quale sopraggiungo mostra lo stesso panorama. Non c'è via d'uscita. Non ci sono altre strade. A volte penso di dover tornare indietro e riprovare a correre, giusto per arrivare da qualche parte, perché la paura più grande al momento è quella di non arrivare. Perdersi totalmente nel deserto, abbeverarsi raramente in qualche oasi per poi passare oltre verso altri miraggi.
Ci sarà mai una realtà? Ci sarà mai acqua per l'assetato nel deserto? Perché quando vuoi veramente qualcosa ed improvvisamente lo trovi in realtà non sai mai quanta parte di esso sia fantasia. Come per la paura.
Quanta parte di questa vita è reale?
Non sarà che viviamo più volentieri nel sogno? Trovare qualcosa oltre te, una nuova strada, un nuovo sentierino che pian piano si trasformi in un fiume in piena che mi travolga e mi porti via con sé. Delle acque in cui nuotare ed essere cullata, anziché dover correre dopo aver perso le forze.
Non so cosa dovrei fare, non so proprio dove andare.
Ci sarà una strada? Non ci sarà? Un misero viottolo? O vagherò per sempre nel vuoto?
Sto perdendo quell'unica possibilità di costruire qualcosa o sto lasciando spazio ad un'altra? Troppi interrogativi.
In realtà ben poco conta il domani quando non si sa con certezza cosa si vuole l'oggi. Potrei voltarmi e tornare indietro, ma sarebbe da codardi. Potrei al contrario sciogliere queste catene che mi trattengono il passo e vedere dove tenderei a correre. Verso l'orizzonte dunoso o verso quella vecchia strada lacerata dai miei passi? Ci sono legami che devono essere sciolti per avere l'opportunità di essere saldati. Temo di dover sciogliere le nostre catene ormai arrugginite. Temo di non saper cosa voglio oggi. Temo, di conseguenza, il domani.

mercoledì 13 aprile 2011

Il punto

Punto. E' sempre difficile metterne uno. Così piccolo, perfetto nella sua sfericità, conclusivo. Eppure ogni giorno fatichiamo ad apporlo. Fatichiamo a gettare via i ricordi, a cancellare un numero da una pagina stropicciata, a fare i bagagli e partire...

Punto.

Forse abbiamo paura di sbagliare o più semplicemente il "mai più" ci spaventa rendendoci tutti dei miseri codardi. In fondo anche la morte stessa non è che il mai più per eccezione.
A volte lo si desidera, ma è sempre un'attrazione macabra, o una sorta di lavaggio di mani alla Ponzio Pilato.

Punto. E ora vedetevela voi.

Difficile è quando il punto non è nessuna tra le suddette, ma la giusta conclusione di qualcosa che ha già avuto una fine, solamente non ancora confermata. Come se il mondo avesse ancora bisogno della parola dell'ultimo essere vivente prima di smettere di girare.

"Punto". Tutti morti, tutti andati.

Così ci troviamo giustizieri del nostro passato, esecutori di qualcuno già morto, falsi e ipocriti lavatori di vetri rotti, macellai di carne avariata. Qual è il punto di arrivo di questo meccanico definizionismo? Forse il sogno  continuo, l'illusione perenne. Forse vogliamo sentirci padroni degli eventi, come se essi dipendessero realmente da noi, da ciò che siamo ed abbiamo costruito. Ma non è così: l'ambiguità causale contraddistingue il flusso degli eventi. Non siamo che puntini sbatacchiati dalla corrente. Eppure abbiamo bisogno di dirlo, per togliere ogni dubbio, conferire certezze ad un futuro incerto e volubile che si autodefinisce

Punto.

lunedì 11 aprile 2011

Lasciami

lasciami vivere, lasciami stare, lasciami andare. Non ti pare abbastanza questa sofferenza? E la rabbia che non si placa, per qualcosa che poteva essere ma non è stato. Eravamo così felici in quell'agosto ormai troppo lontano... abbiamo distrutto tutto, siamo giunti a puntarci il coltello alla gola. Reciprocamente ci laceriamo la pelle per traslare il nostro dolore sull'altra persona, artefice del lutto di un amore. Non siamo più niente, forse lo siamo stati.

Lasciami vivere senza questa ansia nel cuore. Lasciami vivere accanto a qualcuno che mi ami senza pensieri, senza attriti lontani. Lasciami amare da me stessa che tutto perdona, tutto tralascia. Lasciami solo a chi veramente mi vuole, a questa ninfea solitaria in questo stagno di vita.
Lascia che io sia trasportata dalla corrente, portata via lontano dove nessuno può più vedermi. Lasciami da sola in quest'oasi di pace solitaria. Niente è più dolce e amaro di questa solitudine.

E tieniti le tue colpe, tieniti ogni singola cicatrice che ho lasciato sul tuo volto, tieniti il ricordo del mio essere immondo così indegno di un amore. Ho sbagliato sin dall'inizio. Troppi ricordi ci tenevano assieme, ma erano i ricordi sbagliati.
Non ci sono svincoli, solo una strada lunga e stretta, all'interno della quale non possiamo invertire marcia. Mi hai fatto male, mi hai ferito. Non c'è spazio per un'inversione. Non si torna indietro. Abbiamo rovinato tutto con le nostre mani. Tu, con la tua indecisione, io, con il mio amore per me stessa. Quante cose vorrei dirti, eppure mi fermo per rispetto, per non farti veramente male.
Ma cosa mi hai dato? Tanto e niente allo stesso tempo. Adesso fuggo questo tempo non scandito dall'eco del ticchettio di un orologio ormai fermo. Il tempo è stato. Il tempo si è fermato. Il nostro tempo è finito. Ci aggiriamo con furia nel limbo dei defunti, sbattuti dalla passione dantesca delle cose che furono e che trasportarono due amanti all'inferno. La fine di un amore è sempre un inferno o un pacato paradiso. Non avrei mai pensato, non avrei mai desiderato niente di tutto questo. Intanto mi domando come trovare la forza per dormire, accanto me stessa, dentro me stessa, cullata da questo freddo dolore che mi lacera ogni singolo organo vitale. Stasera sto male.

Altrove

Vorrei essere altrove, dove le onde non fanno rumore, accanto a chi non può farmi più male. In un luogo di pace, dove non posso ferire, né essere ferita. L'eterna pena a cui ci siamo condannati è dura da scontare. Questo gioco di scontri tra colpe e risentimenti fa più rumore di un tuono.
Con l'amarezza in cuore cerco il silenzio... ho bisogno di silenzio.

domenica 10 aprile 2011

Penso

E se l'acqua restasse acqua ed il cielo rimanesse cielo... cosa cambierebbe a me su questa terra?

E se anche non potessi grattar via le stelle dalla notte, scucire le trame delle montagne o perdermi nella vertigine dei fiumi... chi mi toglierebbe quel che sono?

Tra la spavalderia del ciliegio che fiorisce ad ogni stagione con la noncurante puntulità del tempo, acre e magnanimo sollevatore di pene, e l'indifferenza del volo degli uccelli  in schiere geometriche e regolari...  chi mai cambierebbe le carte in tavola?

Persa in questo giardino di pruni e fiori di seta, penso.
Penso che in questa disarmonica asincronia niente debba cambiare affinché l'uomo realizzi sé stesso.

The way

Mi soffermo e mi domando se essa sia più una strada od il modo di percorrerla...
Interrogativo ancora senza risposta.

Living

Continuare a scrutare l'orizzonte, guardare oltre un film già visto, persistere a leggere pagine di un libro cercando di vederne il significato recondito.
Ci stiamo perdendo qualcosa?

E quando le strade cambiano e le persone passano...
Le strade rimangono strade, le persone pur sempre persone:
Il senso va ricercato a fondo

ed io non riesco a smettere di leggere...

venerdì 8 aprile 2011

Animal instinct

E lo sento ancora, di tanto in tanto, in qualche canzone, faccia, espressione del viso, parola sussurrata di sfuggita tra molte altre prive di senso.
Lo sento ancora, quell'unico stimolo di vita che riesce ad animare e rendere pienamente viva la persona che sono diventata.
Non sono che un mastino a cuccia rifugiatosi dentro una gabbia dalla quale non si decide ad uscire, benché la serratura sia fragile. Basterebbe un balzo, una bella zampata al cancello sotto l'effetto di una forza di volontà più grande di ogni cosa, che da sempre mi ha contraddistinto. L'istinto mi porterebbe poi lontano, fiuterei la via ed inizierei a correre, addentare quei valori che ho abbandonato, senza i quali non vivo. Voglio dare tutto, ho bisogno di dare tutto, in tutto.

Cancer

Ansia, il mio essere che si agita e urla, "fa che sia un sogno, fa che sia un sogno!".
"No è tutto vero, sono stata veramente dal dottore, è successo davvero" Rispondeva il mio subonscio di riflesso.
Una lotta tra l'io ed io super io si è scatenata stanotte. Uno voleva uscire dal sogno, l'altro continuava a forzarcelo dentro con la rabbia di colui che di fretta tenta di chiudere una valigia prima della partenza.
Cancro. Mi avevano trovato il cancro. Perché? A prescindere dal fatto che non è normale fare questi sogni ma perché proprio il cancro e non una qualsiasi altra malattia mortale? Forse non dovrei, ma ci rifletto.
Il cancro ti mangia dall'interno, ce l'hai dentro e non lo vedi, è il tuo corpo che ti annienta da dove non puoi fermarlo. Come se tutto ad un tratto stessi cercando di dirmi "l'unico modo per salvarti è annientarti". E probabilmente è così davvero.
Tanto per dirla alla Gaber:

"Forse è più facile vivere con gli assassini fuori, visibili, riconoscibili, che ti sparano addosso dalle strade, dalle cattedrali, dalle finestre delle caserme, dai palazzi reali, dai balconi col tricolore.
Assassini che in qualche modo puoi combattere, sai cosa fanno, li vedi e prima o poi si possono ammazzare.
Assassini vecchi, superati, cialtroni che non sono mai riusciti a cambiare nessuno, a cambiarlo dal di dentro. Prevedibili e schematici anche nella cattiveria, come le bestie bionde, come le bestie nere che ti possono togliere la libertà, mai le tue idee, come quegli ingenui e patetici esemplari che esistono ancora oggi, ma non contano, sono un diversivo, un fatto di folklore, una mazurka.
Ma l'assassino dentro è come un'iniezione, non la puoi fermare e non risparmia nessuno, nessuno sfugge alla scadenza."

Ma ciò che più mi spaventava era la serie di avvenimenti scatenatasi dopo la terribile notizia. "Non si può fare più niente, le metastasi sono ovunque"
"Dai non ti preoccupare, avrai ancora un buon annetto"
"Ah, mi dispiace"
Solo una persona piangeva, ed eri tu.
Ti chiamavo, ti mostravo la lastra, hai capito tutto ed all'istante.
"No, no, no..." Dicevi dispiaciuto ed eri l'unico.

Nel frattempo strani intrecci di eventi prendevano campo. E' divertente pensare quanto il sogno abbia rispecchiato la realtà. La soluzione era la stessa, quella che ho sempre adoperato: prendere e partire. Così mi ritrovavo ad Amsterdam, nell'indifferenza generale. Il pensiero che la gente mi sia indifferente quasi mi allieta, facendomi percepire la (insostenibile) leggerezza di questo mio essere. Tutto ruota, tutto continua a ruotare, con o senza di noi. Così, mentre pensavo al fatto che non sarei mai potuta invecchiare, che non avrei mai raggiunto i miei obiettivi, che avevo perso il senso di ogni cosa, mi sono svegliata, in preda al panico.

Conclusione numero 1:
Per essere felici il senso delle cose va trovato nel presente, non in un futuro alquanto altalenante.

Conclusione numero 2:
Mi sono sentita in colpa verso di te. Sto iniziando a pensare di esser stata troppo dura nei miei sentimenti, nelle mie reazioni, pensieri, comportamenti. In fondo devo ammattere che ci tieni... e, malgrado tutto, è una cosa rara.

giovedì 7 aprile 2011

Finita


Sono qui, con me stessa, con le mie parole. Una volta passato lo shock a caldo, sempre più facile da superare, mi ritrovo sola. Immobile, sguardo perso nel vuoto, rigida come un corpo morto. E’ freddo, ma non riesco  a muovermi. 
Continuo a fissare il vuoto in una completa assenza di pensieri. Un’apocalisse dell’anima dopo la distruzione. Sei stato il mio attila, sei passato e non è rimasto nemmeno un filo d’erba. E’ come se non fossi nel luogo dove mi trovo, come se tra me e la stanza ci fosse uno smisurato campo magnetico e dentro di me un enorme buco nero che tutto risucchia. Il nulla, in questo momento sono il nulla. Sono un vuoto totale, l’assenza di sensazioni, il panico paralizzante, come dopo un incidente stradale od il morso di un serpente velenoso. Stasera mi hai tolto ogni briciolo di vita. Non riesco a muovermi. In un attimo hai cancellato tutto quel che poteva essere. Sto male se ripenso a ciò che è avvenuto, mi hai dipinto come un mostro che merita di star solo. Tu eri lì, la tua faccia sparava sentenze contro la mia, parole talmente orribili che mai e poi mai avevo ricevuto nella mia vita e mai credo che riceverò. Io ti ho dato tutto. Non voglio darti più niente. Hai cancellato ogni traccia di noi, adesso so come mi vedi ed io ho bisogno di altro. Ho bisogno di essere apprezzata per quel che sono, sono stata e sarò. Tu non hai apprezzato niente di tutto questo, sono stata un continuo oggetto di critica, a partire dal passato, fino al presente. Non hai mai amato niente di me fino in fondo. Ho bisogno di essere amata, apprezzata, voluta, desiderata ed allo stesso tempo ho bisogno di qualcuno da amare, desiderare, volere, qualcuno con cui sentirmi a casa, accettata. Non voglio più sentirti, sparisci. Sono stata un’illusa a pensare di correre verso di te, non ti ho perdonato niente, nessuno in vita mia si era mai permesso di farmi stare così. Sparisci. Cosa sono adesso le parole dette? So di poter essere felice, voglio essere felice, ma con te non posso esserlo, mi hai ferito a morte. La parte che viveva con te se ne è andata. Corrimi dietro, voltami con le tue mani, aggrappati ai miei capelli mentre cammino imperturbabile. Non mi volterò, correrò via, verso l’orizzonte. Batterò ogni misero centimetro di questo deserto, passerò ad abbeverarmi ad ogni oasi, o piuttosto morirò di sete, ma non tornerò da te. Quella strada si è rivelata piena di pruni, fantasmi del passato e mostri del presente. Merito assai di più, posso dare assai di più. Sparisci dalla mia vista! Meglio morire correndo da soli verso un orizzonte piuttosto che vivere correndo verso di te. 

Come può una persona che dice di amarti farti così tanto male? Trattarti in questo modo? Tu non mi hai mai amato. Forse un mese, forse due, sicuramente non adesso. Voglio che tu sparisca. 
Il concetto è chiaro. Basta. 
Merito qualcuno che mi veda dentro, merito di più. Adesso vorrei solo che tutto questo sparisse. Vorrei poter prendere una pillola e dormire profondamente, perché temo sia l’unico modo per farlo. La tristezza che mi hai lasciato dentro è immensa. 
Vorrei svenire al tocco gentile con la superficie del letto e sprofondare laddove non esiste più niente se non lusinghieri pensieri di leggerezza. Oppure vorrei qualcuno accanto a cui avvicinarmi in preda a questo vuoto, qualcuno a cui avvolgermi mentre dormo, per non sentirmi così sola come mi hai lasciato, come quel famoso aratro…

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
quando partisti, come son rimasta!
come l’aratro in mezzo alla maggese”

mercoledì 6 aprile 2011

Riflettere

Correva l’anno 2008, più esattamente il mese di febbraio. Distrattamente ma con animo sofferente rileggo le mie parole scritte in qualche altro blog sparso nella rete. Quanto sono cambiata, eppure sono sempre la stessa. Parlo di instabilità, stabilità, dico qualcosa di vero: sono sempre stata io a fuggire. Così mi viene il dubbio di aver rovinato ancora una volta tutto per nient’altro che un problema legato alla mia persona, alle mie paure.
Possibile che sia solo un caso? Stessa vita, 3 anni fa, stessa storia. Sofferenze immani: io che seguo la persona amata come un segugio, molto più di quanto non abbia fatto adesso, lui che fugge. Due anni di tormenti, dopodiché lui si decide, ma io non ci sono più.
Possibile che la storia si ripeta davvero sotto forma di farsa? Occorre un gesto improvviso che spezzi questa catena. Non voglio vivere così, non posso farlo. Quel che adesso è importante è sapere quanto l’idea di non poter essere felice con lui sia reale e quanto sia, al contrario,legata alla contingenza. Prima di gettare al vento ogni possibilità di recupero dovrei ben riflettere ed è quel che farò, vivendo una vita solo mia, lontano da lui, lontano dalle sue sofferenze, ma lasciando echeggiare nella mia testa una possibilità di ritorno su quella strada abbandonata a metà percorso.

martedì 5 aprile 2011

Happiness

E su queste note di liberazione mi metto a pensare. Pensieri acuti e taglienti attraversano la mia mente, il mio corpo, fino a farmi sentire i brividi. E’ così triste pensare di abbandonarti al tuo destino. Fino ad oggi ho cercato di crederci, di sperarci a tutti i costi, anche di fronte all’impossibile. Sono le persone che cambiano la vita e tu per un po’ me l’hai cambiata. Ma ho bisogno di essere felice, di percorrere la mia way to happyness che mi accorgo essere diversa da quella verso di te. Ho bisogno di viaggiare, incontrare persone, sperare di nuovo, imparare a credere ancora, gettarmi nel mondo, attorcigliarmi tra i suoi mille tralicci ed uscirne fuori impregnata del suo odore. Ho bisogno di vivere al massimo, di trovare qualcuno con cui condividere questo sogno matto. Ho bisogno di impazzire. E con queste parole vorrei adesso andarmene dalla tua vita, te le lascerei sul tavolo mentre piano piano prendo la via delle scale, delle stesse scale che sognavo di poter fare con te tutti i giorni, una volta che le nostre vite si fossero unite nella loro quotidianità più disparata. Così me ne andrei, senza dirti niente, lasciandoti l’ultima parte di me: qualche parola scritta di fretta ma con meticolosa cura, atta a rappresentare l’ossimoro intrinseco nella mia figura fluttuante. Non puoi rendermi felice, così come non poteva farlo chi prima di te è stato a mio fianco. Chi lascia la vecchia strada per la nuova sa quel che perde ma non quel che trova mi dicono in tanti, eppure io voglio riniziare a sperare, a crederci davvero, a volare verso un destino eterogeno, fatto di persone e luoghi diversi. Voglio parlare con chi non mi capisce, così come con chi mi comprende a pieno. Voglio vedere ogni piccola sfumatura della gente, smerigliatura dei sensi. Voglio provare ogni sentimento, dal male al bene, purché se ne possa sempre fuggire. Voglio immergermi e risalire più ricca di prima. Credere prima di tutto in me stessa, nelle mie capacità di evolvermi, di unirmi e disgiungermi da ciò che sono e sono stata. Voglio essere una nuvola fumosa che attraversa il cielo senza mai fermarsi. Sento di aver perso le redini della vita, come se tutto ad un tratto mi fossero scivolate via dalle mani. L’unica cosa che mi sento adesso di fare è riprenderle ed iniziare a vivere, purtroppo senza di te.

X


Così mi ritrovo ancora una volta a casa, dinanzi a quel grande specchio che copre tutta la mia figura e ben oltre. Mi osservo. Capelli spettinati, raccolti in malo modo all’interno di uno stretto fiocco bianco e stropicciato. Faccia pulita, occhi stanchi. Guardo i miei vestiti, il mio abbigliamento frettoloso, forse un vano tentativo verso uno stile comodo e sportivo; ancora non riesco a realizzare quanto la comodità sia lontana dai miei canoni, dal mio vivere la vita e le giornate sempre troppo brevi. 
Avrei voluto davvero essere avvolta da un morbido panno leggero, adatto ad una sera primaverile come quella appena passata. 17 gradi: non male.  Mi guardo negli occhi mentre tolgo distrattamente la sciarpa fine dal mio collo, rimasto nudo dopo il rapido gesto. Chissà come sarebbe andata con te. In uno sguardo fugace dato a me stessa  fioriscono mille interrogativi; il languore dei miei occhi non pone risposta a quelle insistenti domande. In un baleno riesco a sentirmi tutt’una con la mia immagine riflessa, come un cane solitario che tenta di trovare conforto nello specchio di una pozzanghera. 

Guardo quella figura, lei mi guarda. 
Io domando, lei non risponde. 
Tutto è più facile quando ci vediamo da dentro, le domande scorrono veloci, i ragionamenti fioccano ed in un attimo trovi mille strade, mille possibili spiegazioni. Ma quanto ti guardi negli occhi la verità soprassiede ai ragionamenti, agli artificiosi perché. Non si tratta di una verità assoluta, ma della veridicità dei sentimenti, dei sensi. 
Come possiamo noi umani risponderci usando solo la mente se essa non è che la sintesi dei sensi che nel suo processare si scorda delle parti componitrici della somma? Quando i nostri occhi si incrociano mille verità sono rivelate: la menzogna svanisce. Come un mago a cui  nell'intento di un prestigio fuoriesca ogni singola carta truccata dal fasullo mazzo di inganni, noi rimaniamo immobili, con in mano nient’altro che le effettive possibili risposte. Niente giustificazioni, niente illusioni.

E io mi domando perché è lentamente finita, perche’ non sono stata in grado di resistere, perché quel minuscolo pensiero stia prendendo sempre più campo e sia sempre più costante. Abbiamo visto male sin dall’inizio o la sofferenza nel tempo ci ha inesorabilmente logorato? 
Ricordo ancora settembre, eravamo ancora così vivi, così noi, nonostante tutto. Ricordo un novembre nero ricco di temporali dove, pur tuttavia, eravamo noi a comandare la nave in tempesta. “Vira, reggi il timone, ammaina le vele”. Ce l’abbiamo messa veramente tutta per tornare a tempi tranquilli come il gennaio trascorso. Poi la lenta morte dell’anima. Tu lo paragonavi ad un cielo che si schiariva, ma io ero una persona che si perdeva nel mare della tua indecisione, nell’oceano dei miei perché. E nell’immobilità generale mi sono persa. Persa fino a non riuscire più a parlarti, a crederci, ma solo a sperare. 

Sono stati mesi difficili questi ultimi ed io non ce l’ho fatta. Mi trovo qui, a terra, stremata. Non ho più la forza di reagire ma solo quella di mettere in dubbio ogni passo. Mi sono rimessa in piedi dalla ormai stabile posa mantenuta lungo quella interminabile strada senza contorni, ma mi sono voltata. Ho visto il mondo in maniera oggettiva, poi una macchina mi ha travolto e mi sono svegliata nuovamente a terra, senza sapere più qual era il lato che stavo percorrendo. Tutto è così uguale, così sterminato! Nell’urto ho però ritrovato un po’ di me stessa; non so dove andare ma so di non poter correre verso di te, non più. Mi sono persa, mi hai persa. Non riesco a perdonare quel che fai, fosse pure in buona fede, come credo sia. 
Ho perso la volontà di correre, di spiegare le vele e partire in rotta verso il futuro con te. Questo pensiero mi attanaglia ogni volta che ti guardo o che ti sono vicina. Lentamente devo iniziare a camminare, varcare i confini di questa strada ed esplorare il deserto circostante. Non so dove voglio andare ma so dove non posso andare, così mi ritrovo a vagare, ancora una volta sola, ancora una volta triste, senza una meta, senza una speranza, come un’incognita che più che “trovare” deve essere trovata.

sabato 2 aprile 2011

Incontro


Tante volte mi chiedo: e se mi incontrassi? Come sarei? Mi riconoscerei in quella estranea figura dinanzi a me o lascerei scivolar via quell'incontro tra mille altri volti quotidiani di passanti?
Esiste un modo per riconoscersi? Riconoscersi in altre persone, riconoscersi in noi stessi. La prima cosa che deve essere indispensabile affinche' ciò accada è avere piena coscienza del nostro essere, puro, intonso e terso da macchie di passato o riflessi condizionati che ci offuscano la mente deviando parte della nostra vera identità, distogliendola, attorcigliandola, portandola lontano dalla sua essenza. Malgrado questa sia il passaggio più difficile, una volta conquistata questa ardua tappa, come sarei in grado di riconoscermi?
Mi piacerei? O sarei solo un'altra sbeffeggiante e vacua figura che parla per poter rilasciare spore di sé nell'aria circostante?
Basterebbe guardarmi? Non credo.
Eppure gli occhi dicono molto, tristi ed allo stesso tempo ancora aperti sul mondo, coscienti di quel che è stato, vagamente veggenti su quel che sarà, sempre in potenziale errore, come forse nel giusto.
Mi incontrerei su un autobus, nel mezzo ad una strada trafficata, in una biblioteca o chissà dove altro ancora.
Supponiamo di essere su un treno. Destinazione: lontano.
So perche' sono lì, per lo stesso motivo per cui Lei c'è. Vogliamo andarcene, scappare, essere intere ed intangibili lontano da tutto, sole con la nostra presenza a farci compagnia, i nostri pensieri, le nostre ambizioni e la nostra filosofia di vita così arcana, folle e misteriosa: fluttuante. Fluttuerebbe tra i sensi della gente, tra lo scopo di ogni persona, i destini della folla, troppo comune, troppo ordinaria, esageratamente sentimentale. Così prenderemmo un po' da ciascuno, senza mai permettere a nessuno di relegarci in un contenitore etichettato destinato ad impolverirsi, ad essere dimenticato poiché non esistendo già la sua natura è quella di non essere pensato e ciò che non viene pensato difficilmente può essere dimenticato. 
Prenderei un sedile vicino a lei; non troppo vicino, non troppo distante: è sempre bene non isolarsi del tutto dal resto del mondo: vicino per non dimenticarsi che si vive, lontano per poter vivere. La osserverei tra il velluto blu dei sedili rinnovati ed un prato verde stanco che le fa da sfondo a quel crine di capelli che invadono l'ampio finestrino, quasi per respirare l'aria esterna, pensando che possa essere più fresca, più pulita, come la salvezza.
Continua